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20 Aprile 2024

Una manifestazione (foto d'archivio)

Anno zero


(Marco Ceccarini) Livorno, 27 settembre 2022 – Nei prossimi cinque anni, a meno di improbabili colpi di scena, avremo il consueto gioco delle parti tra il Centrodestra e il Centrosinistra, il primo al governo e il secondo all’opposizione assieme ai Cinquestelle. Il Centrodestra guidato da Fratelli d’Italia ha la maggioranza assoluta dei seggi e quindi, in teoria, dovrebbe governare, con la Meloni premier, per l’intera legislatura. Ma la prospettiva non è affatto scontata. Alla prima emergenza, probabilmente, Centrodestra e Centrosinistra, non senza l’apporto dei Cinquestelle, torneranno a collaborare nel segno di qualche nuovo governo tecnico concepito per imporre agli italiani sacrifici sempre più forti, pena il default indotto dal sistema finanziario internazionale diretto dagli Stati Uniti e in subordine dall’Unione Europea.

Si tratta di una prospettiva, seppure non scontata, molto probabile. Il Centrodestra, con pulsioni ed interessi interni che non sembrano sempre compatibili tra loro, non è poi così coeso. Inoltre, soprattutto, il bene supremo del Paese è una scusa valida quando si deve far digerire al popolo decisioni altrimenti indigeste. Chi scrive non ha palla di vetro, ma plausibilmente crede che prima o poi, quando la crisi economica renderà difficilissima la guida del Paese, un governo presieduto da un supertecnico potrà prendere forma. Il rischio è che l’ulteriore compressione economica e sociale dei cittadini sfoci, nel corso della legislatura ormai incipiente, in una rivolta sociale senza guida politica e senza rappresentanza parlamentare. In quel caso, dolorosamente, gli italiani scopriranno cosa vuol dire non avere in Parlamento alcun partito antisistema.

Anche se è del tutto plausibile, viste le forti istanze presenti nel Paese, che da qualche gruppo politico si stacchi qualche deputato o senatore che si proporrà come terminale dei senza voce e rappresentanza, essere in Parlamento, fin da subito, con le proprie sigle, i propri programmi ed i propri esponenti, avrebbe avuto un’importanza fondamentale. E’ amaro constatare che gli italiani, alla vigilia di una recessione che si annuncia pesantissima, non abbiano permesso a nessuna forza contraria a chi questa recessione ha provocato di essere presente a Montecitorio od a Palazzo Madama. Le cosiddette forze antistema erano e sono contrarie alle politiche europee dettate dalla grande finanzia internazionale, alla partecipazione italiana alla guerra tra Russia e Ucraina e alle modalità di gestione della pandemia da covid-19, tutti fattori che stanno alla base del forte aggravamento della crisi economica.

Per comprendere il perché di una sconfitta che non va sottaciuta, tuttavia, bisogna aprire una riflessione e fare riferimento a situazioni anche diverse tra loro.

La legge elettorale in vigore, contraria ai più elementari principi democratici, non ha aiutato i partiti antistema. Questo è un elemento da cui non si può prescindere. Lo stesso fatto di aver dovuto raccogliere le firme in un mese sotto il torrido sole d’agosto, d’altronde, ha penalizzato chi non si è trovato presente alle elezioni senza dover faticare. Il poco tempo a disposizione, inoltre, ha impedito ai partiti euroscettici e contrari alla guerra di far conoscere bene agli elettori le loro proposte politiche.

Eppure c’è anche un altro aspetto che attiene ad alcuni errori che, innegabilmente, sono stati commessi dalle forze antisistema le quali, presentatesi separate tra loro, sono rimaste tutte fuori dal Parlamento. Riflettere sugli errori commessi non può che essere utile per quei movimenti politici che rivendicano all’Italia il diritto ad avere una propria e vera sovranità nazionale.

Tre erano le forze euroscettiche, contrarie alla partecipazione italiana alla guerra ed a come è stata gestita l’emergenza sanitaria che si presentavano a questa tornata elettorale: Italexit di Paragone, Italia sovrana e popolare di Rizzo, Ingroia, Toscano ed altri, Vita della Cunial. Vi era anche a dire il vero una quarta formazione, Alternativa per l’Italia di Adinolfi e Di Stefano, ma l’area di provenienza di alcuni importanti esponenti di questa lista, come Di Stefano che è stato fino a ieri con Casapound, nonché le posizioni retrive su alcuni diritti considerati acquisiti, hanno fatto sì che le tre liste sovraniste e democratiche siano state Italexit, Italia sovrana e popolare e Vita.

Le elezioni dello scorso 25 settembre sono state svolte in un modo così repentino, inusuale, che ha vanificato gran parte del lavoro che i movimenti antisistema e sovranisti avevano iniziato da poco, in prospettiva di una tornata elettorale che si sarebbe dovuta tenere a marzo del prossimo anno, quando nello scorso mese di luglio sono state indette. Il dover scegliere i candidati, confrontarsi sui vari temi, trovare punti di raccordo per un programma comune nel giro di un mese, perché poi partiva la campagna elettotale, ha impedito che reali prospettive di alleanze potessero sedimentarsi e decollare. Questo è uno dei principali motivi per cui, nonostante la presenza nel Paese di molti uomini e molte donne che si riconoscono in loro, queste liste hanno tutte mancato l’obiettivo di entrare in Parlamento.

Il secondo aspetto da considerare è che, in ogni caso, l’impossibilità di unirsi è stata determinata dal fatto che la maggioranza dei soggetti non ha quadri e strutture, non ha propri media, non sono radicati sul territorio, per cui non potevano oggettivamente costruire, a livello organizzativo e progettuale, un’alleanza in grado di oltrepassare i confini dei differenti movimenti o gruppi politici, molto spesso aggregati attorno a singole personalità od a ristretti gruppi direttivi. Le uniche eccezioni, in questo senso, sembrano essere il Partito comunista di Rizzo e in parte Ancora Italia di Toscano, entrambe riunite nel segno di Italia sovrana e popolare assieme a formazioni meno strutturate come Azione civile di Ingroia ed altre, mentre Italexit è di fatto il partito personale di Paragone e Vita un cartello limitato territorialmente all’estremo Nord e formato da singole personalità come la Cunial, Loaker e la Holzeisen.

Invece le dinamiche politiche non si inventano da un giorno all’altro. Un progetto elettorale che vuole essere percepito come credibile deve avere il tempo per strutturarsi e radicarsi quantomeno nel medio periodo. Il medio termine è la dimensione temporale minima affinché un percorso possa decollare e divenire politicamente convincente. L’esiguo tempo a disposizione, al contrario, non ha permesso neppure la minima sedimentazione e il minimo dialogo teso a smussare gli angoli tra i soggetti potenzialmente convergenti.

Il terzo e ultimo punto, ma non meno importante, è infine che le tre forze che avrebbero potuto e dovuto fare uno sforzo per unirsi, collocate in direzione contraria ai flussi maggioritari di tutti i poteri che contano, si sono trovate a doversi opporre a un sistema che, quando non le ignorava, tendeva a disintegrarle o addirittura a fare in modo che all’interno dello schieramento antistema nascessero incomprensioni e si sedimentassero divisioni. Sintomatico, in questo senso, è l’atteggiamento avuto da Paragone, inizialmente interessato a stringere un’alleanza con i gruppi poi riunitisi in Italia sovrana e popolare, che poi si è allontanato da questo progetto nel momento in cui Italexit è sembrata avere la possibilità di superare da sola lo sbarramento del 3%.

Il risultato di Italexit, in effetti, è quello che sorpreso maggiormente, in relazione al mancato raggiungimento del quorum. I sondaggi, specie gli ultimi, davano infatti il movimento di Paragone sopra la soglia di sbarramento. Invece, evidentemente, era tutto un bluff. L’esito delle urne è stato ben diverso. Tanto che viene da supporre che la sopravvalutazione di Paragone, nei sondaggi pre-elettorali, sia stata indotta dalla volontà del mainstream di spaccare il fronte delle formazioni sovraniste, anche se non è da escludere che, non avendo quasi mai contemplato nei sondaggi Italia sovrana e popolare e Vita, il 3% ed oltre attribuito ad Italexit contenesse anche i dati delle altre liste sovraniste.

Il risultato complessivo, in ogni caso, è stato drammatico perché, oltretutto, siamo nel pieno della più grande crisi della democrazia italiana. Quello che preoccupa, al di là del fatto che a vincere le elezioni è stato il partito che più di ogni altro può dirsi collegato alla storia del Fascismo, è che il nostro Paese, anche se avesse vinto il Centrosinistra, sarebbe rimasto ugualmente in mano alle oligarchie neoliberiste che lo dirigono da tempo. Come ebbe a dire Draghi quando era presidente della Banca centrale europea, quindi in tempi non sospetti, non ha importanza chi vince le elezioni perché l’Italia, ormai, ha il pilota automatico.

L’astensionismo, che in questa tornata elettorale ha avuto il suo più grande trionfo da quando l’Italia è una Repubblica, non ha certamente aiutato i partiti antisistema. L’aver portato le gente al voto senza che potesse prendere coscienza di quello che sta per abbattersi sugli italiani in relazione a bollette lievitate, rincari di ogni tipo, compressioni di libertà individuali e collettive, ha impedito alle forze alternative al sostema dominante di farsi conoscere da coloro che credono di combattere gli avversari lasciando invece loro libero il campo.

Anche l’aver quasi sempre escluso dai sondaggi Italia sovrana e popolare e Vita ha avuto un ruolo purtroppo importante nel risultato elettorale. Al contrario di quanto accaduto per Più Europa, Unione popolare e perfino per Alternativa per l’Italia, tutte liste che poi non sono entare in Parlamento, Italia sovrana e popolare e Vita, come anche il Partito comunista italiano, non sono mai state contemplate, o quasi, nei sondaggi e nelle analisi dei politologi con il risultato che molte persone hanno appreso della loro esistenza solo al momento del voto.

Con tutto ciò, all’esito delle urne, Italexit ha ottenuto circa l’1,9% sia alla Camera che al Senato (al Senato leggermente meno, ndr) mentre Italia sovrana e popolare si è attestata in entrambi i casi attorno all’1,2% (un po’ più alla Camera che al Senato, ndr) e Vita ha replicato lo 0,7% sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. In altre parole, sia alla Camera che al Senato, la somma delle tre formazioni si è attestata attorno al 3,8%. Un risultato che lascia immaginare il fatto che, se le tre liste si fossero presentate unite, forse avrebbero eletto qualche deputato e qualche senatore.

E’ vero che l’unione di più liste non porta mai alla somma algebrica delle percentuali. E’ rimasto nella storia il fallimento elettorale del Fronte democratico popolare che nel 1948, unendo il Partito comunista italiano, il Partito socialista e altre formazioni minori, non ottenne il risultato sperato lasciando il passo al successo della Democrazia cristiana. Tuttavia, se si fossero presentate unite in un “triciclo”, assai probabilmente, le tre liste avrebbero superato lo sbarramento del 3%.

L’amarezza per quello che poteva essere e non è stato, è grande. Eppure un aspetto positivo esiste ed è il caso di sottolinearlo. Se prima queste tre formazioni non esistevano o quasi, se la loro proposta politica era ai più sconosciuta, oggi non solo questa proposta esiste ma è anche patrimonio di molti che pure hanno votato altro o che non hanno votato.

Il fatto che nessun rappresentante di queste formazioni possa sedere in Parlamento, si farà sentire. Ma quanto costruito non deve essere disperso. Siamo in una sorta di anno zero per una nuova politica. Quello che occorre, adesso, è far decollare nuove organizzazioni strutturate capaci di diventare le colonne portanti di un progetto politico che, unendo soggetti diversi, imparino a fidarsi reciprocamente e ad a fare rete. La collaborazione e la lealtà devono essere alla base di una nuova azione politica che, battendosi contro la disgregazione, l’individualismo, il disinteresse sociale, contro il continuo e vago richiamo ai diritti civili quando si calpestano quelli economici e le libertà individuali e collettive, possa dare vita a qualcosa di politicamente solido, sinceramente democratico e popolare, su cui poggiare il futuro dell’Italia.

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