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28 Marzo 2024

Gadi Polacco, il liberale della comunità ebraica


(Tonia Llantes) Livorno, 23 ottobre 2018. Gadi Polacco, o meglio Gadiele, nome italianizzato che discende da Gad, uno dei 12 capi tribù d’Israele, che in ebraico significa “schiera di Dio”, il quale, con la sua gente, si stabilì a sud del Giordano a difesa dei confini contro le invasioni dei nemici del popolo eletto. Il Gadi che conosciamo, persona amabile e cortese, è un “guerriero” moderno che allo scontro, seppure verbale, preferisce il dialogo ed il libero confronto delle idee in senso laico, scevro cioè da dogmi ed ideologie, con coloro che non la pensano come lui. Un liberale, appunto, come lui stesso si definisce, il cui impegno culturale, politico, religioso lo ha visto sempre protagonista sia a livello cittadino che nazionale. Gadi aveva appena un mese quando i genitori lasciarono Ferrara, sua città natale, per stabilirsi a Livorno nel 1960. Il padre Bruno aveva risposto alla chiamata del rav (rabbino) Alfredo Toaff, capo della comunità ebraica di Livorno, il quale lo aveva scelto come suo erede spirituale. Alla città labronica lo legava la figura del suo maestro, il livornese Adolfo Ottolenghi, rabbino capo di Venezia, morto nel campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia. Un legame tra la città lagunare e la città labronica che affonda le sue radici nella Storia, a partire dal seicento, grazie alle Leggi Livornine, che fecero di Livorno, e Pisa, le uniche città dove gli ebrei vivevano pienamente integrati con la popolazione locale senza essere relegati nei ghetti. Una libertà ed un’autonomia economica e religiosa che gli ebrei di tutta Europa non avevano ancora conosciuto fino a quel momento tanto che gli ebrei veneziani giudicarono Livorno il luogo più sicuro in cui trasferire il proprio archivio documentale, durante il conflitto del 1915/18, per poi riprenderselo alla fine della guerra.
Un legame di cui rav Bruno Polacco era chiamato a darne testimonianza in prima persona portando a Livorno la sua esperienza culturale e religiosa formatasi soprattutto a Venezia, poi a Roma e a Ferrara. Nel 1962, inaugurò, insieme a Alfredo ed Elio Toaff (padre e figlio), la nuova sinagoga di Livorno, ricostruita sulle ceneri di quella seicentesca distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale, nella piazza oggi dedicata al rav Elia Benamozegh, uno dei più stimati rabbini di tutti i tempi. Nel 1963, alla morte di Alfredo Toaff, divenne rabbino capo della comunità ebraica livornese. Fino al maggio del 1967, data della sua prematura scomparsa. Aveva 50 anni e Gadi solamente sette anni.
Toccò alla madre, Nella Fortis, accudire da sola ai due figli, Gadi e Daniele, il fratello maggiore.
Una donna forte, Nella, che oltre a seguire i figli, volle farsi parte attiva all’interno della comunità ricoprendo l’incarico di presidenza dell’Associazione Donne Ebree d’Italia oltre che occuparsi dell’Organizzazione Sanitaria Ebraica. Anche Gadi, pur non seguendo le orme prestigiose del padre, ha sentito il desiderio di partecipare attivamente alla vita della propria comunità insegnando prima per tre anni alla scuola ebraica per poi impegnarsi politicamente, tanto da essere eletto nel 1999 alla carica di vice presidente della Circoscrizione 2, in rappresentanza della Lista Amaranto, una delle prime liste civiche a Livorno. Nel luglio del 2006 è stato eletto consigliere nazionale nell’UCEI (Unione delle Comunità Ebraiche Italiane) ed ha ricoperto la carica di presidente della sezione di Livorno dell’organizzazione umanitaria “Bene’ Benith” (in ebraico “figli dell’alleanza”), fondata a New York nel 1843. E ancora: è membro del Consiglio di Comunità e della Confcommercio di Livorno. A luglio di quest’anno si è fatto promotore di una raccolta firme a sostegno del riconoscimento della medaglia d’oro al valore civile al Comune di Guardistallo per la strage, compiuta dai nazisti il giorno prima dell’entrata in paese degli americani, che costò la vita a 11 partigiani e 46 civili.
Qualche rimpianto Gadi? “Forse il non aver avuto dei figli. Ma…è andata così e niente viene per caso….”.