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25 Aprile 2024

Il Parlamento italiano (foto d'archivio)

Il Sì per garantire più forza ai governi


(Dino Della Fratta) Livorno, 30 agosto 2020 – Il cosiddetto taglio dei parlamentari, cioè la diminuzione di più di un terzo di deputati e senatori, rappresenta la riforma su cui rischia di saltare l’ipotesi di un ulteriore governo formato da Cinquestelle e Partito democratico. I pentastellati, infatti, pongono la riforma costituzionale come condizione imprescindibile per qualsiasi rinnovata alleanza. I democratici, invece, non solo non la ritengono una priorità, ma il loro Sì al referendum costituzionale giorno dopo giorno sempre più tiepido.

Tuttavia, al di là di questo, cerchiamo di capire cosa rappresenterebbe la riduzione dei parlamentari e come finirebbe per incidere sul funzionamento della democrazia italiana. E, in quest’ottica, cerchiamo anche di capire come e perché, nonostante tutto, un Sì al referendum sarebbe auspicabile.

Di certo la riduzione dei parlamentari non consentirebbe un risparmio decisivo per le casse del Paese. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici, l’autorevole istituto presieduto da Cottarelli, esso si sostanzierebbe in 57 milioni di euro all’anno, pari allo 0,007 per cento della spesa pubblica. Una somma irrisoria, a dire il vero, se calcolata nel bilancio dello Stato. Il principale argomento con cui la riforma viene presentata all’opinione pubblica, dunque, non appare particolarmente convincente.

Ed allora perché potrebbe valere la pena di votare Sì? Per almeno due motivi.

Il primo è che, a livello simbolico, l’eliminazione di 230 deputati e 115 senatori manderebbe un segnale preciso circa la scarsa considerazione di cui godono i parlamentari e con essi le istituzioni che occupano.

Il secondo, più importante, è che se si vuole dotare il Paese di una maggiore governabilità, la diminuzione dei parlamentari favorirebbe ciò, perché l’esito più importante di tale riforma, essendo il sistema elettorale italiano una combinazione di proporzionale e maggioritario, sarebbe che si verrebbe giocoforza a determinare una più esigua rappresentanza dei partiti minori, specie nelle regioni meno popolose, con la conseguenza che la concentrazione degli eletti in due poli politici, alla anglosassone, permetterebbe al governo di poggiare su maggioranze più forti e durature.

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