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18 Aprile 2024

Stagione lirica livornese, Manon Lescaut entusiasma i giovani


(Angela Simini) Livorno, 18 marzo – La Manon Lescaut di Giacomo Puccini ha concluso la stagione lirica 2016/17 al Teatro Goldoni di Livorno con una grande partecipazione di pubblico: teatro pieno in prima e seconda rappresentazione, apprezzabile il coinvolgimento delle scuole che sono state preparate, ammesse alla prova generale con gli insegnanti, addirittura alcune allieve del Liceo Niccolini Palli sono intervenute sul palco come figuranti. L’opera, che mancava da dieci anni dalle nostre scene, (nella foto il cast al completo) ha esercitato una grande presa emotiva sugli spettatori che con lunghi applausi e numerose chiamate al proscenio ne hanno decretato il successo, anche se tra gli apprezzamenti positivi non è mancata qualche critica.
Bisogna innanzi tutto considerare che allestire un’opera come Manon, che costituisce la prima grande affermazione di Puccini, è un’operazione non indifferente, tanto più che il maestro aveva conosciuto e apprezzato le partiture wagneriane e si affacciava su una complessa stagione musicale e culturale quale fu la seconda metà dell’Ottocento in Europa, di cui Manon porta impresse suggestioni e innovazioni. L’opera, andata in scena nel 1893 al Teatro Regio di Torino, a tre anni di distanza dalla Cavalleria Rusticana di Mascagni, si inquadra nel verismo musicale, decollato in quegli anni, tanto più che Mascagni e Puccini sono gli esponenti di spicco della Giovane Scuola Italiana, ma non possiamo dimenticare gli influssi che il dramma musicale francese esercitava in Europa.
La vicenda, sospesa tra tradizione e modernità, si snoda a son di “colpi di scena” in cui i due amanti si trovano irretiti, travolti da intense e contrastanti passioni (Manon -Renato Des Grieux), circondati da una serie di personaggi per lo più meschini e corrotti, comunque inetti e di basso profilo. Non si anela a un Aldilà, non ci sono tensioni o ideali romantici, l’unico infinito che si intravede nella landa deserta, senza cielo, dove muore Manon, è l’amore “Le mie colpe ..travolgerà l’oblio, ma l’amor mio non muore..”. L’opera presenta notevoli e evidenti difficoltà interpretative, soprattutto sotto il profilo psicologico, oltre che musicale nei quattro atti di cui si compone il dramma. Manon entra in scena come bellissima fanciulla destinata al convento, si innamora di uno studente squattrinato, fugge con lui, quindi, inseguita dal fratello che tresca per arricchirsi, accetta di mettersi sotto la protezione del ricco e potente Geronte di Ravoir. Non appena ricompare il giovane amante, cede alla passione per lui, ma sconsiderata e leggera, prima di seguirlo, schernisce Geronte, si attarda a raccogliere i gioielli, finisce in manette e viene deportata in America, dove si compie una tragedia impressionante e inaspettata. Dunque, capricciosa e passionale, Manon attraversa nei quattro atti in cui si divide il dramma, realtà e mutamenti terribili, da fanciulla a donna innamorata, poi mantenuta e corrotta nella dimora di Ravoir, infine ladra e carcerata, quindi precipita nel dramma più sconfortante. Anche sotto il profilo vocale, si richiede notevole maturità interpretativa. Accanto a lei Des Grieux inizia un cammino in discesa che lo trascina nel fango, fino al delitto, fino alla solitudine senza scampo e imprevedibile nel deserto della Luisiana. Come si vede, dalla Francia all’America, la scena è sempre diversa, importante, determinante, ma è assolutamente imprescindibile comprendere che il vero dramma si svolge nell’animo umano, là dove il personaggio sente di essere trascinato e non sa porvi limite.
Nuovo allestimento della Fondazione Goldoni e coproduzione dei teatri Goldoni, Verdi di Pisa e Teatro Sociale di Rovigo, lo spettacolo ha richiesto particolare impegno sotto il profilo musicale e scenico, impegno che si traduce in soldoni : qui entra in gioco uno dei fattori più determinanti !
Il regista Lev Pugliese, che ha firmato anche scene e costumi, ha reso scarne le scene, servendosi solo di elementi allusivi, mentre sullo sfondo si proiettavano diapositive che volevano essere in sintonia con quanto avveniva sul palco o nell’animo dei personaggi, anche se non sempre ci sono riuscite. Costumi appartenenti a tempi indefinibili, tutti uguali, sobri ma non scadenti, sono rimasti invariati nei primi tre atti, mentre Lescaut e Geronte si distinguevano per una giacca scura, variamente guarnita e Manon, con veli e trine, denunciava una storia di altri tempi e comunque il “genere” della sua storia. Il secondo atto ha dato un’immagine scarna dell’alcova, individuata solo da un panno rosso per terra, dove era distesa Manon, dove si è piegato Ravoir come pure il parrucchiere, con qualche scaduta di gusto e con inutile pretesa che l’artista debba assumere una posizione non consona al canto.
Dello stesso stile “minimalista” le scene del III° e IV°: scelta artistica o penuria di mezzi ?.
Sul podio, nelle due rappresentazioni, si sono alternati Alberto Veronesi, direttore di calibro interazionale, e Beatrice Venezi, che hanno dato letture ovviamente diverse. Travolgente e impetuoso, Veronesi, alla guida dell’Orchestra Regionale Toscana, ha sviluppato appieno la drammaticità della partitura, da segnalare la potenza espressiva dell’Interludio del terzo atto, che, velato di suggestioni wagneriane, crea la tragedia in cui i personaggi stanno precipitando. La potenza orchestrale non ha certamente favorito i cantanti, anche se il soprano Rachele Stanisci (Manon) ha retto bene ed ha bucato l’orchestra. Il tenore Ricardo Tamura (Des Grieux) si è fatto sentire ( e di questi tempi è già tanto), ma nel vortice delle sonorità strumentali, la voce è risultata meno gradevole che nelle arie di rito: “ Donna non vidi mai” e nei duetti con Manon, in cui il cantante ha modulato adeguatamente la voce.
Meno irruente e più attenta alle coloriture, Beatrice Venezi, sul podio nella replica domenicale, ha comunque sottolineato con pieni orchestrali potenti la partitura pucciniana. Il soprano Donata D’Annunzio Lombardi ha ben interpretato il ruolo di Manon con voce acuta, ma non potente, mentre il tenore Danilo Formaggia ha rivelato qualche difficoltà soprattutto nel terribile IV° atto. Buona la prestazione di Carmine Monaco d’Ambrosia nelle vesti di Geronte di Ravoir, voce sicura hanno sfoderato Leon Kim e Sergio Bologna ( Lescaut ), Giuseppe Raimondo, Didier Pieri, Alessandro Martinello.
I due cast, nella grande difficoltà dell’opera, hanno dato una prova di buona tenuta che, insieme al bel coro Ars Lyrica, diretto dal Maestro Bargagna, hanno determinato il decollo e la riuscita del capolavoro di Puccini. E, non ultima considerazione, in questo periodo di gravi ristrettezze economiche per i teatri, quando anche per le prove d’orchestra e con i cantanti, si devono limitare i tempi, si può riconoscere che ognuno ha dato il massimo di sé, Fondazione Goldoni compresa. asimini@alice.it