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24 Aprile 2024

Testimonianze: Carducci a Livorno con gli amici letterati del suo tempo


(Mario Lorenzini) Livorno, 23 ottobre. E’ a tutti ben noto quanto profondo sia stato il rapporto tra Giosuè Carducci e la Maremma in cui trascorse gli anni della fanciullezza e quanta poesia gli abbia ispirato l’amore per questa terra. Allora terra pisana,in seguito provincia di Livorno. Ma abbiamo pure varie testimonianze della presenza del Carducci nella nostra Livorno e delle relazioni intercorse con letterati livornesi o ivi soggiornanti come il Guerrazzi,la Palli,Giuseppe Chiarini e Ottaviano Targioni Tozzetti.
Ispirato a reciproca stima,cortesia e franchezza fu il rapporto con Francesco Domenico Guerrazzi.
Il Carducci criticò talvolta un certo stile un po’ pomposo del Nostro, tuttavia questi incoraggiò il giovane Carducci, dopo la pubblicazione delle “Rime” a non lasciarsi influenzare dai critici avversi e appose egli stesso postille a quei versi di cui Carducci gli fu grato. E successivamente ricambiò lodando su La Nazione”, il fresco e piacevole scritto del Guerrazzi intitolato “Il buco sul muro”. E seguirono altri scambi di cortesia.
Grande ammirazione e deferenza il Carducci nutrì per la poetessa livornese Angelica Palli Bartolomei cui, pur non conoscendola direttamente indirizzò due autografi tra cui una lettera con la quale, su richiesta di Francesco Falcucci, le inviava una sua lode per una “strenna livornese”: “Sicilia e la rivoluzione”, un’incitazione agli italiani che si conclude con i versi: “Uno il cuore, uno il fato, uno il grido, né stranieri né oppressi, mai più”.
Specialmente a partire dal 1867 il Carducci soggiornò più volte a Livorno ospite dell’amico carissimo Giuseppe Chiarini, che fu preside per 17 anni del liceo Niccolini, e in una lettera alla moglie Elvira, datata 10 agosto 1871, cosi si esprimeva: “Sono qui a Livorno dove sto assai bene: me ne vado tutti i giorni sul mare ed è una vista stupenda: non si sente l’estate. Quanto avrei caro che ci fossi anche tu, povera Elvira, che ti solleverebbe l’animo e ti farebbe bene. I bambini del Chiarini sono tutti sani, grandi, grossi e mori che paiono facchini e stanno sempre al sole. Il sole fa bene ai ragazzi…Ieri fui a desinare dal Targioni”.
Qui infatti aveva ritrovato anche l’amico di gioventù Ottaviano Targioni Tozzetti.
Proprio al Chiarini in quell’agosto del 1871 confidò la sua intenzione di comporre poesie secondo la metrica antica e gli lesse le prime strofe dell’ode “Ideale” chiedendo il suo parere.
Il Chiarini, pur sottolineando che quel tipo di metrica poco nota ai contemporanei non avrebbe incontrato il favore del pubblico, lo incoraggiò a continuare, ravvisando il valore di tale poesia.
Il Carducci continuò e nacquero così le “Odi Barbare”. Ospite amato nella numerosa e chiassosa famiglia Chiarini, compose nel 1880 un’ode “Alla mensa dell’amico” pubblicata sulle “Nuove Barbare” .
La prima strofa cosi suona:
Non mai dal cielo ch’io spirai parvolo
Ridesti,o Sole,bel nume,splendido
a me,si come oggi ch’effuso
t’amo per l’ampie vie di Livorno”
A Livorno abitava pure una figlia del Carducci (Laura o Beatrice?) sposa del professore Carlo Bevilacqua insegnante di matematica presso il liceo- ginnasio,morto nel 1898.
La loro figlia Elvirina, a sua volta docente di lettere nel medesimo liceo, attesta che il nonno amava la nostra città e che era attirato oltre che dagli affetti familiari a da care amicizie da “quel che di aperto e arioso aveva la città nell’aspetto degli uomini e delle cose.”
Ci restano le testimonianze della partecipazione del Carducci alla vita letteraria livornese.
Collaborò con continuità a un “Gazzettino estivo” bisettimanale intitolato “Il mare”, sorto su iniziativa del Chiarini e del Targioni Tozzetti, edito dalla tipografia di Francesco Vigo, e qui presentò per la prima volta “Primavere Elleniche”.
Altri versi comparvero sui volumetti “Estate”, che uscirono dal 1882 al 1890.
Ne era editore Raffaello Giusti che con il ricavato dei volumetti invitava a pranzo i collaboratori ai Pancaldi e al “Maccheroni”, celebre trattoria sulla Spianata dei Cavalleggeri. I commensali si recavano poi sulla rotonda dei bagni Acquaviva dove una volta il Carducci esclamò:”Qui è un gran bello stare”.
Al Carducci furono letti dal Chiarini alcuni versi di un suo giovane ammiratore, a quel tempo alunno del Liceo e questi lo ascoltò con attenzione, dando incoraggiamento e consigli. Il giovanetto in questione si chiamava Giovanni Marradi. In seguito il Carducci disse di lui: “Ha il verso dal pieno petto” e “l’ispirazione della melodia” . E ancora: “Canta le intuizioni profonde della vita e della storia”.
Sul Carducci anche due notizie curiose. Tra gli amici che lo ospitarono a Livorno ci fu anche il giornalista Averardo Borsi, il quale, nel maggio 1888, gli chiese di tenere a battesimo un suo figlio che di lì a poco sarebbe nato , promettendo di dargli il suo nome se maschio. Il Carducci accettò, ma non poté tenere fede all’impegno a causa degli esami. Al bambino fu ugualmente imposto il nome di Giosuè e il padre telegrafò al Carducci: il più piccolo dei Giosuè saluta il più grande dei Giosuè d’Italia.
Una sera passeggiando con Ottaviano Targioni Tozzetti in via Grande (in una foto dei primi anni Novecento) il Carducci ebbe quasi a cadere per aver inciampato nei gradini della chiesa della Misericordia, che allora sporgevano su quasi tutto il marciapiede.
Nanni, che era assessore all’istruzione , appresa la notizia dell’incidente dal babbo, intervenne presso il sindaco Costella e gli assessori alla Polizia e ai Lavori e non ebbe pace fino a che una ordinanza impose l’arretramento di questa e di altre gradinate sporgenti.
Tre locali pubblici potevano vantare di avere ospitato spesso il Carducci e i suoi illustri amici che non disdegnavano gli allegri simposi. Il suo nome compariva, infatti insieme a quelli di Ottaviano Targioni Tozzetti, Giuseppe Chiarini e altri frequentatori del locale in una piccola lapide all’interno del Caffè della Posta, diventato poi Caffè-Teatro Lazzeri, ristrutturato negli anni scorsi, trasformato in libreria a due piani con bar, ma poi chiuso definitivamente.
Altra iscrizione marmorea si trovava in una fiaschetteria di via Maggi, al numero 6, ma con targa ricordo in una stanza diventata ripostiglio, titolare Pilade Cipriani, dove il Carducci e il Pascoli pare trovassero spesso “la invocata ora tranquilla” e “ la ispirazione per i loro carmi nel rubino frizzante del bicchiere toscano”. Il buon vino che forse il Carducci apprezzava assai. Ne fa fede una lettera del 30 giugno 1895 indirizzata al genero Carlo Bevilacqua contenente un vaglia di 40 lire e 30 centesimi con il poscrtitto: “ Che mi farai il piacere di passare a Pilade Cipriani.”
Il terzo esercizio era il ristorante “La Rondinella” situato in via Verdi 1. Oggi il locale ha l’insegna: “Attrazioni”.
Qui nel luglio 1890 al termine di un allegro simposio il Marradi volle leggere ai convitati l’ode “Piemonte” e quando giunse ai versi “…..rendi la Patria, Dio, rendi l’Italia agli italiani”, tutti si alzarono in piedi applaudendo. Il Carducci, commosso per l’anelito di libertà, che sentiva sgorgare dal cuore dei presenti abbracciò il Marradi.
Queste testimonianze di vita di Carducci a Livorno, contenute in una ricerca diffusa per la celebrazione del primo centenario della morte del poeta su iniziativa dell’Associazione Ex Studenti del Liceo Niiccolini Guerrazzi il 6 marzo 2007, aiutano a meglio comprendere perché l’Amministrazione comunale nel 1957 in occasione del cinquantesimo della morte abbia voluto degnamente commemorare il Poeta con una serie di conferenze tenute dagli illustri docenti Augusto Mancini, Raffaello Ramat e Francesco Flora, quest’ultimo autore della monumentale “Storia della Letteratura Italiana”, in cinque volumi, impressa nel mese di maggio del 1957 nelle Officine Grafiche Veronesi dell’editore Arnoldo Mondadori. Giosuè Carducci è stato il primo italiano a ricevere, nel 1906, il Premio Nobel della letteratura.