Università di Pisa e Scoglio della Regina: il pensiero dei giovani di Uninfonews
6 Gennaio 2018
(Ruggero Morelli) Livorno, 6 gennaio. Il futuro di Livorno e della costa è analizzato dai giovani di Uninfonews, sigla della loro associazione, che ha un sito di notizie e commenti su musica, teatro, sport e politica – www.uninfonews.it.
Giulio Profeta , Jacopo Marzi ed Enrico Raugi si sono gìà espressi sulla realtà locale su Costa Ovest. Pubblichiamo altri due interventi di Michele Parisi sull’Università di Pisa e di Francesco Gadducci sullo Scoglio della Regina.
Università di Pisa
(Michele Parisi) Il ruolo che l’Università di Pisa gioca rispetto alla nostra realtà cittadina può essere inquadrato anzitutto a partire dal tipo di società livornese. Mi sento di poter dire che la nostra città si trovi in una situazione di torpore rispetto a quello che esiste genericamente in Italia e nel mondo, e conosca poco perfino di quanto accade da noi, dal punto di vista di amministrazione locale, artistico o culturale. Quella livornese è una cittadinanza che per tale motivo non progredisce, e rischia, non interessandosi ad altro che a ciò che vede in termini quasi banalmente di paesaggio circostante, di rimanere sempre uguale a se stessa. In questo contesto, riguardo ai giovani, che sono i primi fruitori dell’università, tale quieto vivere, per dir così, rischia di essere esasperante. La condizione giovanile a Livorno, a fronte di brillanti eccezioni, è di ripiegamento su di sé: perlopiù è volta all’organizzazione del tempo libero e non è incentivata a grossi sacrifici per la costruzione di un futuro. Questo dipende da tanti fattori, molti dei quali provengono peraltro da una posizione infelice della gioventù nel Paese. Essa guarda con scarso interesse all’impegno civico e politico, che significa spesso proprio trascuratezza nella scelta del personale, privato del ruolo nella società; percepisce un futuro problematico ancora lontano e potenzialmente aggirabile tramite il sostegno dei parenti prossimi, non rendendosi conto che le generazioni che sostengono la gioventù (economicamente, per esempio, con il prodotto del lavoro o con le pensioni) di qui a qualche anno andranno sempre più indebolendosi, lasciando spazio all’incertezza e al disagio per chi, per allora, dovrà costruire una famiglia e trovare un qualche ruolo nella società. Questo atteggiamento a Livorno è accentuato. Sia negli adolescenti e giovanissimi, sia nell’imprenditoria e nel commercio cittadini, da troppi anni ormai molto più fiacchi rispetto alla media nazionale. Così stando le cose, è facile comprendere come poca sia la spinta che muove un giovane a scegliere il percorso universitario. Ne ho fatta finora una questione di scarsa partecipazione giovanile: tanto dipende anche da cattivissime politiche (locali e nazionali) che hanno reso preferibile questa pigrizia a tutto un mondo di potenzialità. Come che sia, il punto è che il giovane livornese ha un approccio troppo timido all’università. Essa invece potrebbe per lui costituire un importante punto di partenza per la compiuta realizzazione di una formazione, prima ancora che scientifica, civica e di relazione, e, in termini più utilitaristici, anche per un ingresso maggiormente comodo nella società civile, nel mondo del lavoro e, quindi, nella costruzione, per il piccolo pezzetto di sua spettanza, di un futuro più cosciente per il proprio nucleo familiare, ciò che ridonda poi a beneficio di tutta una collettività.
Ma questo non è semplicemente un peccato per il giovane: molto più a fondo, è un pericolo per l’università. E in effetti, lo stato delle università italiane, per il poco che può derivarmi dalla mia personale esperienza e dai resoconti di miei coetanei, mi pare annegato in una stanchezza quasi decadente. Occorre distinguere: un conto è la ricerca, mai come oggi viva e sempre all’avanguardia in moltissimi settori scientifici; un conto è la partecipazione giovanile dell’universitario. Perché il punto fondamentale è che la ricerca e i corsi di dottorato si nutrono spesso delle menti più brillanti, quelle che hanno avuto la fortuna, familiare o sociale, o le innate capacità, intellettualmente parlando, di brillare fin da subito. Si nutrirebbero però ancora di più se le miriadi di menti che affollano l’università, più timide a esprimersi per molte ragioni, avessero la possibilità di brillare nel percorso universitario. Ed è questa una cosa che non dipende dai manuali o dalle lezioni, i quali ovviamente giocano un ruolo fondamentale, certo, ma attecchiscono meglio nei giovani più inclini a recepirli. È una cosa che dipende invece dal fervore dell’ambiente universitario, dagli stimoli che possono provenire da aggregazioni di vario genere. Qualcosa che manca assolutamente nell’università italiana. Parlo di aggregazioni spontanee, nate per curiosità o reale volontà di espressione: le riunioni giovanili, infatti, per quella che è stata la mia esperienza, prescindono totalmente da questi impulsi. Molte sono le organizzazioni che, anche in ambito prettamente universitario, parlano di cultura o di politica in modo stanco, ingessato, riferendosi a massimi sistemi rispetto ai quali il contributo che può provenire dalle generazioni di studenti è minimo e non scalfisce. Scalfirebbe di più se, pure orientato verso i medesimi massimi sistemi, avesse qualcosa di concreto da dire, per far sentire la sua voce chiara. Difficile però avere qualcosa da dire se non si maturano riflessioni, interazioni e scambi di idee spontanei, ma si parla sempre per sentito dire, schiacciandosi su dimensioni sterili, che non appartengono a chi studia ma neppure al resto della società, e che ci vengono imposte da slogan più o meno ossessivamente ripetuti dai media, dalla sempre più affollata e nevrotica rete sociale, da chi occupa con eccessiva leggerezza o imperizia le istituzioni, statali, locali o d’ateneo. Se i capifila dei giovani, sempre che esistano, non fanno altro che servire da elastico tra questi mantra inutili e il resto degli studenti, si vede bene che la dimensione universitaria non è dinamica, ma solo unidirezionale: non matura lei stessa, in un vortice di energie presenti nell’ambiente universitario, ma recepisce passivamente impulsi. E neanche troppo vivaci, cosicché l’università non riesce a nutrirsi delle nuove energie che troverebbe al suo interno, ma le inchioda su posizioni di staticità insopportabile. Perfino i più partecipativi percepiscono il percorso universitario quasi esclusivamente come asettico. Studio, esame, corso successivo. Nessuno scambio fertile di relazioni, o ridottissimi. Erasmus a parte, ma questo c’entra poco col discorso, essendo spesso arricchente solo sotto altri profili.
Nonostante ciò, il ruolo dell’università e, in particolare, dell’Università di Pisa è senz’altro di crescita, quanto meno personale e di formazione. Ma spesso, bisogna pur dirlo, il giovane abbandona, e quello che riesca nel suo percorso a volte non trova dopo la laurea una posizione soddisfacente nella società civile, anche professionalmente parlando. In ogni caso, alcuni non riescono a proseguire nel solco tracciato dagli studi, altri ci riescono ma solo aggiungendo ulteriori lunghi anni di specializzazione. Ma già questo è confortante dal punto di vista della qualità dell’offerta formativa, che, ripeto, è delle migliori. Inutile dire poi che anche per la società livornese, il laureto a Pisa porterà un valore aggiunto in termini di coscienza, di cultura e anche economici. Eppure tutto ciò rischia di essere qualcosa di cui fruiscono e che riescono dipoi a restituirsi a vicenda solo gli addetti ai lavori, nell’ambito delle professioni o dei ruoli dirigenziali. Tutte le ulteriori energie che potrebbero svilupparsi attorno ai dipartimenti universitari finiscono per disperdersi, se non sono già soffocate nel percorso.
A proposito di tutto ciò vorrei parlare adesso un poco di Pisa e del suo rapporto socio-economico con Livorno.
Sia Livorno sia Pisa hanno una vivacissima potenzialità in tanti settori anche molto diversi tra loro. Anzitutto nell’arte: basti pensare ai movimenti pittorici vecchi e nuovi e al ricchissimo panorama musicale, che spazia in generi molto variegati. Livorno da sola è una delle città con la più alta incidenza artistica in Italia. In secondo luogo a livello economico: la zona industriale tra Livorno, Pisa e Pontedera rappresenta eccellenze in molti settori dell’industria e del commercio e, primariamente, nel settore della navigazione. Tra il porto di Livorno e le rotte aeroportuali che collegano Pisa a praticamente tutto il mondo, i traffici turistici e commerciali avrebbero tutte le carte in regola per fare di questo tratto di costa uno dei punti nevralgici dell’economia italiana. Infine, nella dimensione culturale, scientifica e tecnologica: soprattutto a Pisa, grazie anche all’università, sono fioriti negli ultimi anni i musei e i centri di partecipazione culturale, e scientificamente la città è all’avanguardia in moltissimi ambiti. A Livorno, poi, un associazionismo molto attivo risveglia grande partecipazione in diverse realtà politiche e culturali. Dunque verrebbe da chiedersi perché a fronte di tutto ciò le enormi potenzialità che possono offrire le due città e i molti centri che ruotano loro attorno non riescano a incidere con sufficiente profondità, anche solo banalmente sull’economia e sull’occupazione, pure giovanile (tra le più basse d’Italia), o sullo stile e sulla qualità della vita. Il problema è, a mio parere, che tutte queste brillanti realtà sono slegate tra loro, non si vede alcun incontro che vada più in là di temporanee alleanze o accordi di piccolo raggio. Le politiche locali non hanno mai d’altra parte favorito un’integrazione reale tra due città che distano pochissimi chilometri l’una dall’altra, e che da un punto di vista sociale sono già strettamente collegate, pur essendo, allo stesso tempo, così tutto sommato rudimentalmente collegate a livello infrastrutturale o di trasporti. E ciò non giova neppure al turismo e al commercio. Per lo sviluppo urbanistico che hanno avuto sia Pisa sia Livorno, avvenuto stranamente nei sensi opposti al lembo di terra che le separa, ci sarebbe stato da aspettarsi, al cominciare del nuovo millennio, che si potesse realizzare una realtà verosimilmente prossima alla città metropolitana: una realtà del tutto particolare, sorretta da due gambe autonome, ma capace di camminare in un’unica direzione, viste le potenzialità, se interconnesse. Tutto ciò ha sfiorato solo molto marginalmente le Amministrazioni che si sono succedute nei due centri negli ultimi decenni, e dette potenzialità rimangono ancora non solo poco valorizzate, ma addirittura frustrate.
In tutto ciò l’Università di Pisa, anche nei confronti della città di Livorno, rappresenterebbe un decisivo punto di partenza per lavorare su una sinergia produttiva. Attualmente l’Università, presente anche sul territorio livornese, risulta un’istituzione basilare per la crescita e il progresso della cittadinanza (più che della città) di Livorno. E però, alla luce di ciò che si è detto, quanta energia, quanti talenti sprecati per un difetto di coordinazione che mi verrebbe da definire culturale. Quanta minorità ci costringe nelle nostre piccole abitudini e ci impedisce di realizzare una città veramente moderna, all’avanguardia e funzionale alle esigenze dei cittadini e della loro vita, unica e preziosa nel panorama socio-economico italiano. (Nella foto il Rettorato dell’Università di Pisa su Lungarno Pacinotti)
Lo Scoglio della Regina
(Francesco Gadducci) Lo Scoglio della Regina ha sempre destato poco interesse in me e nei miei coetanei.
Vedevamo quel luogo come una delle tante nobili bellezze decadute, che se sfruttata bene, poteva sicuramente giovare la città, ma il nostro interesse si fermava lì.
Il successivo intervento architettonico, che distaccava nettamente dalle forme ottocentesche, risultava come un pugno in un occhio per alcuni e in una geniale forma di innovazione per altri; ma ancora, sfuggiva cosa fosse diventato quel luogo prima abbandonato a sè stesso.
Tralasciando l’ottimo lavoro svolto nella riqualificazione della struttura in sè, è stata donata nuova linfa vitale grazie alla stabilizzazione dei laboratori del Cnr, della LAMMA, della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, del Centro Interuniversitario di Biologia Marina (CIBM) e della Capitaneria di Porto, oltre agli uffici della Direzione Marittima della Toscana.
Finalmente, un luogo intriso di labronicità, condito da alta tecnologia, ricerca e conoscenza.
Un luogo, in cui si scommette sui giovani e sulle loro capacità , ma che allo stesso tempo cerca di portare un grande contributo alla città dato che i laboratori elaboreranno prodotti che potranno essere utilizzati all’interno dei sistemi di consumo con un occhio di riguardo per la soft robotica, nella blue e nella green economy.
Degni di menzione sono i nuovi progetti (CIBM e Scuola Sant’Anna), che seguono il filone della nuovissima branca della robotica (Soft Robotica), che si propone di costruire robot con materiali morbidi e di grande elasticità per vari scopi, che vanno dall’interazione sicura con gli umani, a migliorare la locomozione, la presa e la manualità dei robot stessi.
Due di questi progetti, ad esempio, chiamati Octopus e Poseidrone avevano come scopo la costruzione di un robot-polpo (proprio per la sua elasticità e versatilità incredibile).
Attualmente sta partendo una nuova linea di ricerca, che si occupa della cotruzione di un robot bentonico: un robot sottomarino (che cammina sul fondale) il quale cerca di astrarre i principi fisici che gli permettono di avere una camminata ottima sott’acqua – come un granchio – e di implementarli a mezzo ingegneristico.
Inoltre programmi di studio e formazione per gli studenti, cicli formativi multidisciplinari con possibilità di visite guidate che incentiveranno la crescita culturale e scientifica delle giovani menti pronte a “tuffarsi” nell’infinito mare della conoscenza. Tutto questo, in quel piccolo scoglio, che pur poco considerato per molto tempo, sta facendo molto parlare di sè. (I laboratori recentemente inaugurati allo Scoglio della Regina)
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