Il 25 aprile
Ottant’anni con sobrietà
25 Aprile 2025
(Marco Ceccarini) Livorno, 25 aprile 2025 – Con la liberazione del Nord e la resa dei tedeschi, la primavera del 1945 segnò la fine del nazifascismo in Italia. La data del 25 aprile, giorno della liberazione di Milano, è stata scelta per festeggiare la più ampia ed articolata liberazione nazionale. Quello stesso giorno, a Genova, i tedeschi firmarono la resa. La fine della guerra nelle maggiori città settentrionali portò a compimento un percorso iniziato quasi due anni prima, dopo lo sbarco in Sicilia delle truppe alleate e il quasi contestuale armistizio dell’8 settembre 1943.
Oggi, 25 aprile 2025, sono dunque ottant’anni da quella data che, simbolicamente, rappresenta lo spartiacque tra l’Italia del passato e quella di oggi. Una data che in un qualsiasi Paese, non solo in Italia, sarebbe celebrata con grande partecipazione dalle istituzioni democratiche perché rappresenta il giorno della ripartenza dopo la tragica esperienza del fascismo e della seconda guerra mondiale.
Decretando cinque giorni di lutto nazionale per la morte di papa Francesco, tuttavia, il governo Meloni ha chiesto che il 25 aprile, questo 25 aprile, otto decenni dalla liberazione, venga celebrato con “sobrietà”. Il ministro Musumeci ha detto: “Tutte le cerimonie sono consentite naturalmente, tenuto conto del contesto e quindi con la sobrietà che la circostanza impone a ciascuno”.
“Sobrio”, secondo il celebre dizionario della lingua italiana De Voto Oli, significa “moderato, parco, che si mantiene nei limiti della necessità”. Questa parola, in sintesi, descrive una persona o un atteggiamento che, a memoria, il sottoscritto non vede storicamente in antitesi al 25 aprile, giorno in cui, almeno negli ultimi venti o trent’anni, non sono accaduti incidenti particolari, violenze gratuite, momenti critici o di allarme. Il che dovrebbe far presupporre che coloro che oggi a Milano o Genova celebreranno l’anniversario, coloro a Sant’Anna di Stazzema renderanno omaggio agli innocenti che furono trucidati dai nazifascisti, coloro che si recheranno in tutti i luoghi simbolo della Resistenza o dell’impegno degli angloamericani, a Cassino o sulla linea gotica, coloro che ricorderanno l’anniversario sfilando per le vie di Piombino, Livorno, Firenze, Roma, lo faranno in maniera misurata, tranquilla, in una parola “sobria”. Chi scrive, sempre a memoria, si ricorda concerti, scampagnate, discorsi, celebrazioni, feste di popolo ed allegria per celebrare la fine di quella tragedia dell’umanità che è stato il secondo conflitto mondiale, con oltre 60 milioni di morti a livello planetario, dei quali la metà civili, che solo in Italia ha causato quasi 480 mila vittime, di cui 350 mila militari, 85 mila civili e 45 mila caduti nella Resistenza, cui devono aggiungersi quasi 25 mila mutilati o invalidi.
Verrebbe da chiedersi, a questo punto, qual è il vero intendimento di tale affermazione. Che cosa vuol dire, veramente, che bisogna celebrare il 25 aprile in maniera sobria?
Se l’intento è quello di dire che quest’anno bisogna celebrare sotto tono l’anniversario, che bisogna “volare bassi” perché altrimenti, tanto più col nuovo decreto sicurezza, si potrebbe incorrere in qualche reato, non siamo d’accordo. Ed ancora meno lo saremmo se, con queste prese di posizione, si volesse evitare di far riflettere la gente sull’orrore della guerra in un momento in cui l’Unione Europea, quindi anche l’Italia, non esclude il ricorso al conflitto armato contro la Russia a sostegno dell’Ucraina.
Fa riflettere, tra le altre cose, il divieto di eventi pubblici e cerimonie in “pompa magna” negli archivi e nelle biblioteche di Stato disposto dal ministro Giuli tramite la direzione generale degli archivi di Stato. Perchè? Ci sfugge la risposta. Sembra che lo Stato neghi sé stesso. Il 25 aprile, in Italia, è festa nazionale.
Oggi, dove possibile, si terranno discorsi e manifestazioni. Sarà celebrata, giustamente, una delle date fondamentali della Repubblica Italiana. La speranza è che la giornata trascorra in modo pacifico, senza incidenti ma anche senza provocazioni, indipendentemente da chi potrebbe essere il soggetto povocatore.
Noi vorremmo vivere in un Paese in cui il 25 aprile, dopo ottant’anni, non fosse ancora divisivo ma unisse le diverse componenti ed anime. Invece, evidentemente, questa data ancora divide. È divisivo per chi, quando è chiamato ad esprimersi su certe questioni, dice “io sono contro tutti i totalitarismi” e non ha il coraggio di dire “io sono contro il fascismo”. Lo è per chi vive il 25 aprile ancora come una sconfitta. Lo è per molti, evidentemente. Siamo certi che non lo è per chi vuole che l’ottantesimo anniversario venga celebrato con “sobrietà” ma occorre fare attenzione a non lanciare messaggi sbagliati perché questi possono portare a fraintendimenti di cui, in questo momento, non si ha davvero bisogno.