Oltre il voucher, contro il lavoro nero
16 Marzo 2017
(Marco Ceccarini) Livorno, 16 marzo – La notizia del giorno, in chiave nazionale, è l’abolizione dei voucher, ovvero dei buoni lavoro concepiti due anni fa come retribuzione per attività occasionali ed accessorie che tuttavia, in breve, si sono trasformati, nel quadro di un mercato deregolamentato e precarizzato, in un vero e proprio modo di retribuzione. E sui quali, non a caso, la Cgil ha fatto una battaglia e raccolto le firme per chiederne l’annullamento con un referendum che già era in calendario per il 28 maggio. Ma domani il consiglio dei ministri recepirà la volontà espressa oggi in commissione Lavoro della Camera dalla maggioranza e in particolare dal Pd con la conseguenza che, almeno nella parte relativa ai voucher, il citato referendum non si farà.
Chiaramente, a questo punto, alla Cgil avrebbe fatto piacere andare alla consultazione e magari vincerla. Ma pure il rendersi conto che il governo ha ceduto senza neanche confrontarsi, dopotutto, è un bel successo per il più antico sindacato dei lavoratori italiani. Anche perché, diciamolo chiaramente, il vero sconfitto sembra essere Renzi e la visione renzista del mondo del lavoro di cui il governo Gentiloni è espressione.
Chi è scontenta della decisione della maggioranza e del governo, invece, è la Confindustria, che ha già fatto sapere di non condividere la decisione del Pd e che, in definitiva, avrebbe preferito la consultazione referendaria.
Ma attenzione, la soddisfazione per la cancellazione dei buoni lavoro, che pure c’è ed è giusto che ci sia, deve essere filtrata da almeno due aspetti. In primo luogo, infatti, i voucher potranno essere utilizzati ancora per un po’, fino al prossimo dicembre, per consentire a chi l’ha acquistati di esaurirli. In altre parole, dunque, la loro abolizione scatterà solo dal gennaio 2018. Ma soprattutto, in secondo luogo, dopo la loro abolizione occorrerà dar vita a una normativa seria e concreta delle prestazioni saltuarie, integrando la nuova disciplina con controlli capillari sull’eventuale uso anomalo e distorto di queste fattispecie contrattuali. Il problema, infatti, non è cambiare nome al buono lavoro, o magari ipotizzare questo in prospettiva, ma fare in modo che la formale “regolarizzazione” del lavoro discontinuo od occasionale non diventi, nei fatti, un’inaccettabile copertura del lavoro nero, dell’evasione contributiva e di una ridotta o mancata retribuzione delle attività effettivamente svolte.
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