La storia della schiava russa nella Firenze medicea
7 Novembre 2017
(Paola Meneganti) Livorno, 7 novembre. Presentato dall’associazione Evelina De Magistris, il libro “Ekaterina. Una schiava russa nella Firenze dei Medici”, di Marialuisa Bianchi, edito da End.
Il romanzo è ambientato in un periodo storico preciso (il Rinascimento fiorentino), in luoghi e strade altrettanto precise e efficacemente descritte, ed è centrato sulla figura di Ekaterina, una personaggia a cui fanno da contrappunto e corollario molte altre figure maschili e femminili. Marialuisa Bianchi (nella foto) ha scritto un romanzo storico fortemente connotato al femminile, che si inserisce nel filone del romanzo storico delle donne. Ne ricordiamo l’antesignana, Maria Bellonci: e proprio parlando di Bellonci, Monica Farnetti, fine e colta critica letteraria, ha denunciato quanto sia incomprensibile il fatto che questa produzione sia misconosciuta.
Certo è che “Ekaterina” indaga una tessitura spesso nascosta tra le pieghe, le rughe della storia: la presenza delle donne, che è quasi sempre un differente modo di abitarla. E’ in questa relazione tra presenza e assenza delle donne che si inserisce il lavoro di Bianchi, in cui l’autrice parte da un dato storico drammatico, generalmente ignorato o sottaciuto: la presenza della schiavitù nella Firenze luminosa del Rinascimento – nella Firenze, e qui citiamo un pensiero di Ekaterina, dalla “tanta bellezza … sparsa ovunque, come polvere d’oro che decora gli oggetti”.
Perché Ekaterina è una giovane schiava russa, razziata nel suo lontano Paese, giunta in Italia in schiavitù, venduta e passata, di mano in mano, ad una serie di famiglie fiorentine. Sono vivide, ma colme di pudore rispettoso, le descrizioni delle violenze che le ragazze come Ekaterina sono costrette a subire: ultime tra le ultime, soggette alla volontà del padrone che ne voglia abusare o della padrona che le voglia battere per sfogare una rabbiosa delusione, e soggette e maltrattate anche dalle serve italiane, che pure faticano in maniera bestiale nelle case dei ricchi padroni.
E sono vivide le descrizioni dei luoghi. L’azione si svolge perlopiù nel centro della Firenze dell’epoca, con la cupola di Brunelleschi, le porte del Battistero di Ghiberti, lo Spedale degli Innocenti, il Tabernacolo dei Linaioli di Beato Angelico, i mercati, i canti, la festa di San Giovanni, la peste del 1448. Qui si muovono i signori dell’epoca, qui vediamo il futuro Magnifico Lorenzo, bambino, a fianco del nonno Cosimo; vediamo la famiglia Strozzi che desidera costruire un palazzo degno della propria ricchezza, vediamo i Rucellai e il vescovo Antonino Pierozzi, che sarà fatto santo, ma che predica cose terribili sulle donne.
Marialuisa Bianchi, che è storica di formazione, ha studiato a lungo le carte d’archivio, questi tesori, anch’essi misconosciuti e bistrattati, senza i quali non ci sarebbe la storia per come la conosciamo. Cita volentieri, ad esempio, il carteggio di Alessandra Macinghi Strozzi, che appartenne alla buona borghesia fiorentina e visse gli anni politicamente complicati del periodo mediceo, con lucidità, acume politico e lungimiranza. E gli archivi sono luoghi in cui si possono indagare quelle rugosità prima citate, quei precipitati di quotidianità, quello sguardo altro, quelle zone d’ombra in cui interrogare senso e agire della presenza differente delle donne. Rimarrà nella memoria Ekaterina, biondissima e coraggiosa ragazza che rimpiange le storie di Baba Jaga raccontate dalla nonna e che impara a leggere e a scrivere, per desiderio di conoscenze e di evasione, l’unica possibile. Forse. Un lavoro, questo di Marialuisa Bianchi, avvincente, preciso ed appassionato.
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