Porta San Marco, tra memoria e rinascita: la sfida di Piazza XI Maggio
17 Aprile 2025
(Marvin Trinca) Livorno, 17 aprile 2025 – Livorno, con la sua affascinante miscela di cultura, storia e modernità, è una città che sa sorprendere. Tra i suoi tanti monumenti, uno dei più emblematici è Porta San Marco, un autentico testimone delle trasformazioni storiche della città. La sua nascita, avvenuta nel 1835, fu dettata da un’esigenza precisa: espandere i confini del porto franco di Livorno, un tempo delimitato dal Fosso Reale e dalle austere mura medicee.
La nascita e il contesto storico
Nel 1835, ormai troppo stretta tra le sue antiche difese, la città bramava aria nuova, nuovi orizzonti commerciali e culturali. E fu così che, su progetto del lungimirante architetto Alessandro Manetti, presero vita le nuove mura cittadine, inglobando al loro interno anche la Porta San Marco. Tra il 1839 ed il 1840, sotto la sapiente guida di Carlo Reishammer, la porta assunse la sua forma attuale, sostituendo il più antico varco situato sul Rivellino di San Marco. Non solo un semplice accesso alla città, ma un vero e proprio monumento che racchiudeva in sé l’anima stessa di Livorno: il suo spirito mercantile, la sua tenacia, la sua voglia di guardare al futuro.
Ma la storia di Porta San Marco non si esaurisce nella sua funzione architettonica. Essa è intrisa di vicende epiche e di eroici gesti che hanno forgiato l’identità livornese, cioè la resistenza dei livornesi durante l’assedio del 1849. In Europa era appena scoppiata la Primavera dei Popoli nel 1848. Il tentativo dei vincitori di Napoleone di restaurare la situazione pre-1789 non aveva portato i frutti sperati. Nonostante il ritorno delle antiche monarchie assolute, era ormai difficile oscurare le idee che si erano diffuse con la Rivoluzione Francese. Era il gennaio del 1848 quando un vento di cambiamento iniziò a soffiare su Livorno, increspando le acque della sua quieta esistenza. Sulle strade della città, un fermento inaspettato crebbe come una marea inarrestabile. Volantini inneggianti alla libertà circolavano di mano in mano, sussurrando promesse di un futuro nuovo e luminoso. Protagonista di questo tumulto fu Francesco Domenico Guerrazzi, uomo di ingegno e passione, animato da un profondo desiderio di giustizia e di riscatto. Le sue parole infuocate infiammarono gli animi dei livornesi, dando voce al loro malcontento verso il dominio del Granducato di Toscana e del sovrano Leopoldo II.
Fuochi rivoluzionari e repubblicani
Mentre la Prima Guerra d’Indipendenza infiammava la penisola, la Toscana viveva i suoi tumulti interni. Nell’agosto di quell’anno, la città esplose in una sommossa popolare, come un vulcano che erutta la sua rabbia repressa. Il Granduca Leopoldo II, conscio dell’inquietudine che serpeggiava tra il popolo, cercò di calmare gli animi nominando Giuseppe Montanelli e Francesco Domenico Guerrazzi alla guida di un nuovo governo, il primo ministero democratico d’Italia.
Montanelli, uomo idealista e tenace, non si accontentò di mezze misure. Chiese al Granduca di eleggere trentasette deputati toscani da inviare alla Costituente romana, dove si stava redigendo una nuova carta magna per l’Italia unita. Il Parlamento approvò la proposta, ma il timido Leopoldo non firmò mai il decreto. Il 30 gennaio 1849, il Granduca, fiaccato dalle pressioni e timoroso per la sua stessa incolumità, decise di abbandonare Firenze. Si rifugiò su una nave inglese a Porto Santo Stefano, lasciando il Granducato nel caos più totale.
L’8 febbraio, l’eroe del Risorgimento Giuseppe Mazzini giunse in città e annunciò alla folla l’avvenuta cacciata del Granduca. Il giorno dopo, un triumvirato composto da Guerrazzi, Montanelli e Mazzini prese le redini del governo toscano. La Toscana era diventata una Repubblica! Ma la fiamma della libertà non ardeva solo a Livorno. A Firenze, il 25 marzo venne inaugurata la nuova assemblea elettiva, che il 27 marzo proclamò Guerrazzi dittatore. Un passo verso l’unità d’Italia, si sperava. Tuttavia, il Municipio di Firenze, animato da spiriti conservatori, si oppose al governo di Guerrazzi e avviò una contro-rivoluzione per riportare sul trono il Granduca.
Livorno, però, non era disposta a piegarsi. I livornesi, che avevano già assaporato la libertà e non erano intenzionati a rinunciarvi, costituirono un proprio governo cittadino presieduto da Giovanni Guarducci. Il 18 aprile dichiararono il tradimento del Comune di Firenze e proclamarono la resistenza. Porta San Marco non fu solo un’entrata, ma anche un palcoscenico di eventi drammatici durante l’invasione della Toscana del 1849. La porta divenne teatro di scontri tra i livornesi guidati da Enrico Bartelloni e gli austriaci. Questi conflitti lasciarono segni profondi nella struttura, ma anche nella memoria collettiva della città.
Dopo la fine degli scontri, Porta San Marco fu rinnovata. Fu aggiunto un varco laterale per migliorare il flusso di persone verso la vicina Stazione Leopolda, e la porta assunse la nuova denominazione di Barriera San Marco. Questo cambiamento rifletteva non solo una necessità pratica, ma anche la resilienza di una città che, nonostante le difficoltà, continuava a guardare avanti.
E oggi?
Oggi, Porta San Marco, custode silenziosa della storia livornese, sorge su Piazza XI Maggio come un’affascinante regina addormentata. Nonostante i recenti restauri che hanno ridato vita al suo portone principale, il resto della piazza giace in un dolce torpore, quasi indifferente al trascorrere del tempo.
La volta interna, realizzata in ghisa e sorretta da agili colonne in metallo, rappresenta un capolavoro di ingegneria e design ottocentesco. Il ferro, elemento strutturale e decorativo allo stesso tempo, rende l’opera di Reishammer un esempio all’avanguardia dell’architettura dell’epoca. Ma anche questo gioiello nascosto mostra i segni del tempo e necessita di un accurato restauro per tornare a brillare di luce propria.
Superato il portale, ci troviamo di fronte al fornice sovrastato dal maestoso leone di San Marco, opera in marmo dello scultore Lorenzo Nencini. Un simbolo di forza e regalità che veglia sulla città da secoli. L’esterno della Porta è completamente rivestito in bozze di pietra, perfettamente in linea con lo stile delle mura cittadine.
Ai lati del varco d’accesso, due corpi semicircolari accolgono bassorilievi in marmo, che raccontano storie di battaglie e di gloria. Anche qui, il tempo ha lasciato la sua impronta e un intervento di restauro si rende necessario per restituire ai bassorilievi il loro antico splendore.
A pochi passi dalla Porta, una lapide e un busto commemorano Enrico Bartelloni, eroe dei moti risorgimentali del 1849. Il suo sacrificio ricorda il coraggio e la tenacia dei livornesi che lottarono per la libertà. Piazza XI Maggio non è solo un semplice spazio urbano, ma un vero e proprio simbolo identitario per il quartiere. Riqualificarla significa: riscoprire il senso di comunità, combattere il disagio sociale, creare un quartiere più sicuro.
Gli interventi di recupero dovrebbero andare oltre il semplice restyling estetico. È necessario riattivare il tessuto sociale, creando spazi dedicati all’incontro e alla convivialità, promuovendo iniziative culturali ed artistiche. Solo così la piazza potrà ridiventare il cuore pulsante della vita sociale di Livorno, come un tempo. È fondamentale comprendere che il recupero sociale della piazza non è un’azione accessoria, bensì la chiave per prevenire il degrado urbano e sociale. Quando uno spazio pubblico è vissuto, curato e partecipato dalla comunità, si trasforma in un presidio naturale di sicurezza. La presenza attiva dei cittadini, la frequentazione quotidiana, le iniziative culturali e ricreative contribuiscono a disinnescare sul nascere fenomeni di abbandono, vandalismo e marginalità. Inoltre, tutto questo facilità anche l’inclusione sociale e civile di tutte le persone. In sintesi, la rinascita di Piazza XI Maggio rappresenta un’opportunità unica per ripensare gli spazi pubblici e restituire alla città di Livorno un luogo dove i cittadini possano ritrovare un senso di appartenenza e vivere pienamente la loro comunità. Un luogo ben curato, a ben vedere, può rappresentare anche un deterrente per l’instaurarsi di situazioni di degrado sociale ed urbano.