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29 Marzo 2024

Dio, Allah, Budda, in loro nome l’odio contro le donne


(Paola Meneganti) Livorno, 13 giugno 2018. Giuliana Sgrena, giornalista e scrittrice, ha presentato il suo ultimo libro “Dio odia le donne” (edito da Il Saggiatore) presso la biblioteca comunale dei Bottini dell’Olio, in un incontro organizzato dall’Associazione Evelina De Magistris di Livorno e dal Teatro Rossi Aperto di Pisa.
Nel suo libro, parla di violenza nei confronti delle donne e parla apertamente di “odio”. La prima frase dice: “Dio, Allah, Budda. Comunque lo si chiami, è in suo nome che gli uomini scatenano il loro odio contro le donne. La Bibbia, la Torah o il Corano sono gli strumenti di questa aggressione, spesso utilizzati a sproposito” nel contribuire ad elaborare codici interpretativi di assoggettamento e subalternità. E, giungendo al nocciolo del libro, ecco che si legge: “Le religioni costituiscono l’alibi per il patriarcato”, e il patriarcato rimanda ala questione del potere.
Giuliana Sgrena (nella foto) scrive di avere compiuto una “ricerca personale – non facile, ma per certi versi liberatoria – sulle ragioni dei comportamenti adottati o imposti dalle religioni monoteiste”, per cui “oggi, talvolta, si assiste a un vero e proprio ritorno alle origini, alimentato da un fanatismo che si accanisce particolarmente contro il sesso femminile”.
Il libro è ricco di esempi e di dati su questo odio, su questa violenza: i fondamentalismi religiosi scatenati nel mondo hanno tra le loro vittime principalmente le donne. Il panorama degli episodi citati è agghiacciante: le lapidazioni in Afghanistan, gli spari contro le cliniche USA che praticano aborti, le violenze della notte di Capodanno 2015 a Colonia. “Laicità come urgenza necessaria” e “libera scienza in libero Stato”, scrive, citando Margherita Hack. Un tema di grande attualità, in un mondo in cui – secondo Jürgen Habermas – esiste una forte tensione tra società secolare e religione.
Giuliana Sgrena compie una ricognizione a largo raggio, molto interessante, sulla misoginia che si respira nelle tre grandi religioni monoteiste. Ed è interessante vedere come dall’intolleranza religiosa si passi ad una intolleranza che si fa questione sociale, antropologica, culturale.
L’immagine in copertina mostra una donna senza soggettività, senza espressione, senza corpo, col capo coperto. Una donna che così dovrebbe essere per redimersi dal suo essere intrinsecamente subalterna, inferiore per nascita, impura, tentatrice, strega.
Sgrena cita attentamente le fonti delle sue considerazioni, dai testi sacri e da quelli tradizionali delle diverse religioni. Lo stigma originale di Eva, la verginità di Maria, il “trattamento” dell’adulterio previsto dal Corano. La donna mestruata “immonda”. La copertura del corpo e la questione del velo. L’orrore delle mutilazioni genitali femminili. L’istinto proprietario che sta dietro al femminicidio. La negazione della parola.
Un pregio del testo è anche quello di uscire dall’ambito dell’occidente, per spaziare a culture, civiltà, stili di vita diversi. In una recente intervista, l’autrice scrive di essersi concentrata, negli ultimi anni, sull’islam e il suo rapporto con le donne e sull’utilizzo della religione come strumento per imporre regole alle donne, per opprimerle e discriminarle. Ma il libro dimostra che i fondamentalismi non sono solo nell’islam ma in tutte le religioni monoteiste, che, tutte e tre, forniscono, conclude Sgrena, un alibi per il patriarcato.
Le riflessioni aperte dal libro sono molte: la prima, quella dell’eccesso di laicità che viene imputato al mondo occidentale, che si riflette specularmente in quella del relativismo culturale; la seconda, un’interrogazione sulla ricerca che stanno svolgendo molte donne, all’interno delle religioni monoteiste, per leggere diversamente e superare, anche con un’attenta esegesi, la subalternità indubbiamente inscritta nei testi sacri; la terza, quella del velo, che alcune donne e ragazze immigrate in Occidente o di chi stabilisce un parallelismo tra modelli subalterni diversi, sia nel caso del corpo coperto e corpo completamente messo in mostra .
Nel corso del suo intervento, Giuliana Sgrena ha puntualizzato che il suo libro non è contro la fede, ma contro il dispositivo di potere che è insito nelle religioni monoteiste. Le religioni forniscono un alibi fortissimo alla misoginia, e l’autrice ha raccontato di quando, molto piccola, a scuola aveva una insegnante suora che faceva pregare la classe per lei, che non era battezzata, e per il padre, partigiano e comunista: una vera e propria violenza, una messa all’indice che lei, oltretutto, non poteva capire.
Oggi, si considera ormai secolarizzato il mondo occidentale, invece c’è un ritorno alla religione, anche in senso lato, come dimensione spirituale, e la causa principale è il venir meno dei valori della laicità. Ed accade che, nel momento in cui il punto di riferimento diventa la religione, questa si radicalizza, per essere competitiva con le altre.
Tutto questo appare chiaro se si considera che sono in corso guerre in cui la religione c’entra: i motivi sono anche altri, ma la ricerca di egemonia religiosa ne è parte importante. Si parla di islam, ma, ad esempio, il valore della verginità è tornato ad essere molto forte negli USA: si fanno balli della purezza, il padre garantisce della verginità della figlia (per inciso, il dogma della verginità è molto più antico nel cristianesimo che nell’islam). In America Latina sono molto forti i pentecostali, una religione che tende ad organizzare tutta la vita.
L’islam non ha ancora avuto un processo di secolarizzazione; ci si riferisce alla tradizione, ma, a volte, è solo un riferirsi a questioni arcaiche come paradigma di identità. In Occidente si tende a giustificare queste pratiche, soprattutto in Italia, un Paese in cui c’è carenza di laicità: ne sono prova le interferenze della Chiesa nella vita pubblica e politica, la religione cattolica insegnata a scuola etc… Non c’è laicità, e quindi, in specie di fronte alle donne velate, coperte e vestite in un certo modo, si tende a “tollerare” questi comportamenti. La tolleranza deve avere un limite, “altrimenti, proprio qui in Europa, un giorno ci troveremo sedute in fondo all’autobus, come succede non solo in Iran ma anche in Israele, isolate su spiagge riservate a sole donne e segregate nelle scuole”.
Questa “tolleranza” porta a discriminazione: non fa garantire i diritti di queste donne, spesso costrette a subire imposizioni dai capi delle loro comunità religiose. E occorre anche dire che ci sono persone musulmane laiche che non vengono mai convocate per i tavoli di confronto, dove si chiamano solo le comunità religiose, ad esempio l’UCOII. Accettare questa discriminazione nei confronti di alcune donne non è giusto. Spesso accade che le ragazze arrivino dai loro Paesi senza velo e, dopo un po’, qui se lo mettano, perché il capo della comunità glielo impone, “altrimenti diventate delle poco di buono”. Occorre puntare molto sulla alfabetizzazione delle donne migranti, perché possano uscire dalla subalternità, e non si deve dimenticare che nel Corano non c’è l’obbligo del velo: il termine hijab, il velo omologato sul modello del chador iraniano, compare una volta nel Corano e indica una tenda che separava dagli estranei le mogli del profeta Maometto. Viceversa, sia sant’Agostino che san Paolo sostenevano che la donna, non essendo fatta ad immagine di Dio, deve portare il velo, e questo elemento compare anche nell’ebraismo ortodosso, che prescrive pure il taglio dei capelli femminili. Si tratta, quindi, di una questione identitaria, ma basata sulla religione e sull’attrazione dell’islam globale. Si impone il velo perché la donna deve garantire l’onore del maschio, coprendo l’attrazione dei capelli. Ma non solo: “la voce della donna è la sua nudità”. Qui troviamo una questione centrale, un concetto presente in tutte e tre le religioni monoteistiche. La frase si trova nel trattato Berakhot del Talmud Babilonese, dove si leggono le seguenti parole dell’amorà Shmuel: “La voce di una donna è ‘ervà” (letteralmente: “nudità”), e viene ripresa nel film “La bicicletta verde”, della regista saudita Haifaa Al-Mansour, qui proferita dalla preside di una scuola religiosa wahabita. La donna non deve esporsi, non deve parlare, non deve esistere. Se si seguono le regole dettate da chi ha imposto il velo alle donne, per non indurre l’uomo in tentazione, allora ne consegue che la donna non debba prendere la parola. E sulla questione della (mancata) presa di parola delle donne si potrebbe ragionare a lungo … Comunque, l’islam non è univoco su questi contenuti: in Marocco, è vietato che sui libri di scuola ci siano immagini di donne velate; il nuovo presidente tunisino ha istituito una commissione che formuli proposte di legge per superare la discriminazione subita dalle donne nei confronti dell’eredità, perché il Corano può essere messo in discussione! Altra norma già abolita in Tunisia (quest’ultima è un vero e proprio laboratorio: nelle ultime elezioni, la percentuale di donne elette è del 47%), in Giordania, in Libano è quella del matrimonio riparatore come modo per cancellare il reato in caso di stupro. Il leader religioso di una comunità islamica della Costa D’Avorio si è pronunciato con molta forza contro le mutilazioni genitali femminili, in quanto non sono un precetto religioso. Le subiscono donne cristiane, donne musulmane, donne ebree falascià: è il controllo totale del corpo femminile, con il togliere la dimensione del piacere alle donne e legare il sesso solo al dolore. In Italia si stimano in 40.000 le donne infibulate, nonostante che la legge lo vieti. Eppure, non dobbiamo dimenticare che in Italia la castrazione femminile (l’escissione della clitoride) è stata possibile fino alla fine dell’800.
Le donne sono impure permanentemente, perché sono mestruate. Eva è nata da una costola di Adamo, si è fatta corrompere dal peccato ed è stata cacciata dal Paradiso: si stabilisce un nesso fortissimo tra mortalità e mestruazioni. Il dogma rimane, ed è all’origine del fatto che una donna non possa diventare prete, rabbina, imam. Ci sono alcune rabbine, riconosciute da correnti minoritarie dell’ebraismo; una imam è in Germania, ce ne sono alcune negli USA, ma non sono riconosciute. Un altro prezzo pagato alla misoginia delle religioni monoteiste.