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16 Aprile 2024

Silver, il robot nato a Livorno , che esplora i fondali marini


(Ruggero Morelli) Livorno, 3 aprile. Verso casa oppure ritorno a casa, è la possibile traduzione del nome ‘Homeward bound’ dato alla spedizione nell’Antartide, organizzata durante il 2017 da più centri universitari con l’aiuto dell’Onu, per la quale sono state scelte/ammesse 80 donne tra le scienziate di tutto il mondo.
Si tratta della più grande spedizione scientifica tutta al femminile mai organizzata . Da quando il progetto è stato lanciato, la sua eco ha già raggiunto milioni di persone in tutto il mondo.
Il programma australiano, nato da un’idea di Fabian Dattner, imprenditrice e attivista – si è realizzato nel febbraio 2018 per tre settimane.
L’obiettivo è duplice: da un lato promuovere il ruolo delle donne e la loro visibilità nel mondo tecnico-scientifico prevalentemente maschile, e dall’altro influenzare gli orientamenti delle politiche pubbliche globali in favore dell’ambiente e della lotta ai cambiamenti climatici.
Per questa nuova spedizione le 80 selezionate sono state impegnate per un anno in un programma di formazione su temi legati a capacità strategiche e di comunicazione, climatologia e ambiente. La formazione in equipe ha permesso di partecipare più attivamente all’orientamento delle politiche ambientali, favorendo la presenza di una voce corale in merito alle decisioni che riguardano temi socialmente rilevanti come i cambiamenti climatici, il riscaldamento globale, la deforestazione e l’erosione della biodiversità. Per la prima volta, due italiane sono salite sulla nave della spedizione: Gaia Dell’Ariccia, ricercatrice in comportamento animale che lavora sulla migrazione degli uccelli marini attraverso gli oceani in diversi istituti internazionali (Montpellier, Barcellona, Zurigo), e Elena Joli, fisica teorica che ha studiato all’Università di Bologna e all’École Normale Supérieure di Parigi . La prof. Joli ha precisatoin una intervista a radiorai 3 che si è occupata della formazione di isole di plastica negli oceani.
Mi ha molto incuriosito la notizia perchè va a collegarsi con quanto ha raccontato il nostro viaggiatore a vela in solitario Soldini, quando un mese fa è approdato a Londra sul Tamigi proveniente da Taiwan:’..la cosa che più mi ha meravigliato è stato l’incontro in mezzo all’oceano indiano di formazioni giganti di agglomerati di materiali di plastica che sembravano isole…”.
La successiva ricerca mi ha portato ad un articolo pubblicato a cura di Elena Dusi dove si leggono due passaggi a dir poco strabilianti: 1.-”La cassetta per bottiglie rossa galleggia nel blu delle onde. I ricercatori della fondazione olandese Ocean Cleanup la raccolgono fra California e Hawaii, trovando ancora impressa la data di produzione: 1977. È rimasta intatta, come molti dei rifiuti analizzati nella più ampia perlustrazione di quella che viene chiamata “ l’isola di plastica del Pacifico”. I risultati sono pubblicati oggi su Scientific Reports. Non si tratta esattamente di un’isola: non ci si può camminare sopra. È piuttosto una zuppa in cui galleggiano 1,8 trilioni di frammenti di plastiche varie, 80mila tonnellate in totale, intrappolate e trasportate dalle correnti oceaniche in un’area ovale di 1,6 milioni di chilometri quadri: tre volte la Francia. La rilevazione precedente, che risale al 2014, aveva misurato una massa di spazzatura pari a un sedicesimo di quella odierna.”
2,- ”Ma in realtà tutti i residui sono pericolosi » sostiene Aliani. « Una tartaruga può essere soffocata da un sacchetto, il plankton da una microplastica, un cetaceo avvelenato dagli inquinanti chimici che con quel frammento di spazzatura si sono combinati » . L’“ isola” tra California e Hawaii è solo la più grande fra le cinque sparse negli oceani. Una di esse ( ovviamente più piccola, ma con concentrazioni addirittura superiori rispetto a quella del Pacifico) si trova fra Corsica e Toscana. « Dove le correnti provenienti dall’Atlantico incontrano quelle del Tirreno » spiega Aliani. « Tutto il Mediterraneo, che è un mare con un ricambio assai scarso, è toccato gravemente da questo tipo di inquinamento » .
La ricerca di cui riferisce Dusi è stata effettuata dalla Fondazione Ocean cleanup . www.theoceancleanup.org (The Ocean Cleanup is a foundation that develops technologies to extract plastic pollution from the oceans and prevent more plastic debris from entering ocean waters). Circa il fenomeno dell’inquinamento da plastica ci aiuta e ci informa la giornalista scientifica Elena Comelli che scrive su Nova del Sole 24 ore:”È il materiale più duraturo e invadente del mondo. Dalle suole delle scarpe alle lenti a contatto negli occhi, dal cellulare in tasca agli alimenti impacchettati nel frigorifero: viviamo nell’era della plastica. Il suo avvento è stata una liberazione e ha migliorato in mille modi la nostra vita quotidiana, ma al tempo stesso ci ha imprigionati in un mare di rifiuti e di micro-inquinamento. Dal 1950, quando è diventata un prodotto di massa, a oggi sono stati sfornati 8,3 miliardi di tonnellate di plastica, in base a uno studio dell’Università della California. Una montagna destinata a quadruplicare le sue dimensioni a 34 miliardi di tonellate entro il 2050. Per di più, solo il 9% di questa produzione è entrata nel sistema del riciclo e il 12% è finita in termovalorizzazione. Tutto il resto è andato disperso nell’ambiente.” In altra occasione scriverò delle alternative all’uso di questa plastica perchè sono in atto ricerche sulla bio-plastica nei vari centri tra i quali lo Iit di Genova dove opera la nostra concittadina Barbara Mazzolai.
Qui merita citare la frase che nel film Il laureato dicono a Ben:”Il futuro è nella plastica”. Ben è Dustin Hoffman, e il consiglio gli viene elargito a bordo piscina da un amico di suo padre. Siamo nel ’67. Quattro anni prima, Giulio Natta aveva ricevuto dalle mani del re di Svezia il Premio Nobel per l’invenzione del polipropilene. Cinquant’anni dopo, la profezia al giovane laureato si è avverata. Viviamo in un planeta di plastica e sarà sempre più così. Erano gli anni durante i quali noi ultra 70 parlavamo dei limiti dello sviluppo rispetto ad un pianeta finito, e circolavano i libri di Aurelio Peccei che aveva creato il Club di Roma. Oggi quei testi anticipatori delle sorti dell’ambiente, sono editi di nuovo con aggiornamenti curati da Luca Mercalli (vedi e ascolta su fb).
Durante il 2017, per fortuna, nel laboratorio dell’istituto di biorobotica allo Scoglio della Regina-Livorno, la professoressa Cecilia Laschi e la sua equipe hanno messo a punto un piccolo robot dalla forma indefinita,la fisionomie di un cane e la meccanica di granchio (nella foto). Lo hanno chiamato Silver. Dopo il polpo robot è arrivato lui ed ha vinto un bando della National Geografich. E’ in corso un secondo step del progetto. Silver,responsabile del progetto Marcello Calisti, da può muoversi in mare, andando anche a profondità impossibili per noi, ed è attrezzato per cercare la plastica nelle sue molteplici forme. Infatti sono partite una serie di altre ricerche soprattutto in Usa, ma anche in Germania, per capire fino a che punto la plastica sia già entrata nella catena alimentare che arriva fino a noi. In primo luogo nell’acqua di rubinetto. Il tasso più alto di contaminazione dell’acqua da bere, al 94%, è stato trovato negli Stati Uniti, secondo uno studio guidato da Sherri Mason, esperta di microplastiche della State University di New York a Fredonia. In pratica, quasi tutta l’acqua che esce dai rubinetti degli americani è inquinata da fibre plastiche. L’India viene subito dopo. In Europa la situazione è un po’ migliore, ma siamo comunque al 72%. Non è chiaro come tutta questa plastica possa finire nell’acqua da bere, ma la spiegazione più plausibile, secondo i ricercatori, è che le microplastiche in sospensione in atmosfera finiscano nei laghi e nei fiumi con la pioggia. Un altro studio, condotto dell’Università di Paris-Est a Créteil, ha scoperto nel 2016 che una pioggia di microplastiche scarica dalle 3 alle 10 tonnellate all’anno di questi materiali su Parigi, inquinando l’aria e le acque della città.
Non ci resta che attendere che la ricerca si compia del tutto e che una grande azienda avvii la produzione ed uso del robot livornese con la conseguente raccolta e distruzione o riciclo della plastica di mare. Ci sarà un mare di lavoro da fare. (ruggeromorelli@libero.it)