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19 Aprile 2024

Soriano Ceccanti, una storia nella Storia. Il Sessantotto tra Pisa e Livorno nel libro di Stefania Fraddanni


(Ursula Galli) Livorno, 29 marzo. “Lottavano così come si gioca, i cuccioli del Maggio, era normale: loro avevano il tempo anche per la galera. Ad aspettarli fuori, la stessa rabbia, la stessa primavera…”
Questo verso dell’introduzione alla versione non censurata della “Canzone del Maggio” di Fabrizio De Andrè mi è risuonata per tutto il tempo mentre leggevo, sul libro di Stefania Fraddanni, “Il mio ’68. Storie raccontate dai protagonisti tra Pisa e Livorno” (Ed. Books & Company collana Scuola della Fondazione Livorno), la testimonianza di uno di questi ex “cuccioli” del maggio. Un cucciolo che dal Sessantotto è rimasto marchiato in maniera atroce e indelebile.
La storia è quella di Soriano Ceccanti, un ragazzino di 16 anni che il 31 dicembre 1968 fu colpito da un proiettile sparato dalla polizia fuori dalla Bussola di Focette, dove si stava svolgendo una manifestazione contro il capitalismo.
Uno dei tanti impazzimenti nella storia recente della nostra Italia segnata da episodi come quello di Franco Serantini lasciato morire in carcere per le percosse ricevute sul Lungarno Gambacorti a Pisa nel lontano 1972, o ai più vicini fatti della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. Vicende che, senza nemmeno entrare nel merito delle ragioni e dei torti, lasciano un magone immenso per la sproporzione tra il delitto (il manifestare per un’idea) e la pena (la violenza, l’uccisione).
Soriano Ceccanti non era un pericoloso sovversivo, come del resto non lo era Franco Serantini, protagonista invece, proprio con il paradossale titolo “Il sovversivo”, di un magistrale libro-inchiesta di Corrado Stajano.
Ceccanti (lo racconta per la prima volta sul libro della Fraddanni) era un bimbo fra i tanti, nato e cresciuto nelle campagne pisane. In quel simbolico anno 1968 aveva cominciato ad occuparsi di politica, tra Fai e Fgci, passando direttamente dai giochi da bambino (le scorribande in bicicletta, i tuffi in Arno, la pesca con i retini) a ciò che vedeva succedere in città, a Pisa, dove andava a scuola: i comizi, le manifestazioni, gli scioperi. “Meridione, India, Africa, Vietnam, Sudamerica, occupazione, assemblea, classe operaia, riunione, lotta di classe, anarchia, borghesia, diventarono parole che un po’ capivo e un po’ volevo capire”.
Così venne a sapere che quell’ultimo dell’anno era organizzata una manifestazione fuori dalla Bussola di Focette. Il tempo di trovare un passaggio in macchina, una bugia ai genitori (disse che andava ad una festina in casa da un’amica) ed ecco pronto il primo capodanno fuori casa, insieme ai compagni di scuola. Il viaggio accucciato in una macchina strapiena fino a Viareggio, i viali a mare illuminati quasi a giorno, l’arrivo alla Bussola, due passi in mezzo a una manifestazione tra slogan e lanci di ghiaino contro i signori vestiti a festa, i celerini che avanzano e che sparano, centrando Soriano nella spina dorsale, l’operazione d’urgenza, e quindi tutta una vita in sedie a rotelle.
Bene ha fatto Stefania Fraddanni a ripescare questa piccola storia in mezzo a varie testimonianze, anche illustri, di gente che ha visto o fatto parte del movimento studentesco, che poi ha anche ricoperto ruoli di primo piano, a livello nazionale come Massimo D’Alema, o locale, come Claudio Frontera che è stato presidente della Provincia di Livorno. Storie di persone che tutte insieme fanno la grande Storia, nella fattispecie la storia del Sessantotto, anno simbolo, forse il là a un non breve periodo in cui la tenuta democratica della nostra strana Italia ha traballato e non poco.
Certo viene da chiedersi quanto sia stato e quanto sia realmente democratico questo Stato, quando ascolti ciò è successo a una persona come Soriano Ceccanti in tempi assai recenti.
Una vita in sedia a rotelle combattuta con dignità grazie anche alla lezione appresa con il movimento studentesco, manifestazioni per i diritti dei disabili contro le barriere architettoniche e pure un titolo mondiale di scherma alle Paraolimpiadi, quindi l’Inps che improvvisamente qualche anno fa gli toglie la pensione di invalidità perché era stato sorpreso, non improvvisamente miracolato e guarito, ma semplicemente a sposarsi in Marocco.
Dopo una non breve battaglia giudiziaria, e dopo che l’Inps con tutta calma ha effettuato gli accertamenti d’ufficio circa il requisito della dimora stabile ed effettiva la pensione di invalidità gli è stata restituita, ma c’è di che restare senza parole, per l’accanimento del destino ma soprattutto per l’accanimento di quello che chiamiamo Stato.
Una piccola testimonianza di vita, quella di Soriano Ceccanti (presente con la sua timidezza e combattività alla presentazione del volume nella sede del Tirreno), che pesa però come un macigno in un libro di per sé già ponderoso, per il numero di pagine e per la qualità.
“Il mio ’68” non è infatti solo una collazione di storie personali, ma ricostruisce con perizia e la dignità del saggio, dal punto di vista storiografico e sociologico quel periodo denso di cultura e di stimoli di cui si ricorda quest’anno il cinquantesimo anniversario. Senza nostalgie e senza voler dare giudizi definitivi, ma anzi lasciando spazio a tante domande sul “come eravamo” e su “cosa siamo diventati” in questa Italia, dove di diritti rispetto al ’68, per quanto a pezzi e bocconi se ne sono raggiunti non pochi (divorzio, aborto, unioni civili, testamento biologico), ma dove tutto questo sembra sempre pericolosamente in bilico, tra vecchie e nuove paure.
Un’Italia uscita un po’ più a destra dalle ultime elezioni, dove la paura degli ultimi che possano intaccare i nostri privilegi (che siano gli studenti o gli operai come nel ’68, i poveri e gli immigrati oggi) fa sempre un po’ pendere verso il desiderio di uno Stato “forte”.
Se poi “forte” vuol dire quello che spara ai manifestanti, toglie la pensione agli invalidi, requisisce le coperte ai senzatetto, si fa più intensa la voglia di riascoltare quello che cantava Fabrizio De Andrè: “E se credete ora che tutto sia come prima, perché avete votato ancora la sicurezza, la disciplina, convinti di allontanare la paura di cambiare, verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte. Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti, per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti”. (Il Sessantotto, immagini di una Storia Pisana,foto di Luciano Frassi, alla mostra di Palazzo Blu, Pisa)