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27 Aprile 2024

Aldo Moro, una verità non ancora raggiunta


(Gianni Giovangiacomo) Livorno, 4 luglio 2018. Andrea Jardella si è fatto promotore di una iniziativa culturale che si è svolta presso la Libreria Feltrinelli per ricordare il 40° anniversario del sacrificio di Aldo Moro. Infatti in quella sede è stato presentato il volume “Aldo Moro. Lettere dalla prigionia” curato da Miguel Gotor, che ha visto la partecipazione, come relatori, di alcuni politici livornesi. Jardella ha dato subito la parola all’ex presidente della Provincia, Claudio Frontera,che si è addentrato ad affrontare la tematica del volume. Ha voluto ricordare alcuni scritti sulla vicenda Moro firmati da Sandro Provvisionato, Marco Damilano, e da Calabrò-Fioroni membri della Commissione Parlamentare che ha indagato sulla morte dello statista democristiano. Siamo in presenza -ha detto- di una pubblicistica che segnala “un bisogno di verità non ancora raggiunta”, il libro di Gotor pone l’attenzione sulle lettere di Moro dalle quali esce un quadro importante per ricostruire quell’evento e che consentono di decifrare il carattere della manipolazione subita da Moro. Gli originali delle lettere non sono stati mai ritrovati, quelle che abbiamo furono rinvenute, in fotocopia, nel covo brigatista di Via Montenevoso, Gotor ha avuto il merito di riuscire a collezionare quelle uscite e ad entrare nei meccanismi di quel sequestro. La manipolazione dell’ostaggio da parte dei brigatisti voleva ottenere il massimo risultato di “destabilizzazione del sistema politico”. Frontera ha messo in rilievo la tesi di Gotor che, citando il rapimento dell’imprenditore Soffiantini, da parte dell’anonima sequestri, fu costretto più volte a copiare e a ricopiare le sue lettere mescolando il vero al falso, una situazione che sarebbe avvenuta anche nel caso delle lettere di Moro. La finalità -ha chiarito Frontera- non era quella solo di uccidere il rapito, ma quella di ottenere “la disarticolazione dell’intero sistema politico che ruotava intorno a Moro”. Si veda il caso della lettera a Cossiga che non doveva essere resa pubblica e che invece i brigatisti resero nota ai giornali, a Roma, a Torino e a Milano, e a Moro fu dato ad intendere che fosse stato proprio Cossiga a volerla pubblicare creando un profondo attrito tra i due. Tutto ciò dimostra”la perfidia e il cinismo da parte dei rapitori per costringerlo ad essere il regista della stessa trattativa”. Emerge la plausibilità che una trattativa ci fosse da parte della componente politica socialista e della Santa Sede, fu anche raccolta una ingente somma di denaro che “non si sa che fine abbia fatto”. Di tutta la vicenda Frontera ha messo in rilievo un aspetto non secondario: “Moro, manipolato, non rinuncia a fare politica”, cerca di aggirare la manipolazione e cerca ugualmente di parlare, c’è il tentativo disperato di far filtrare dei messaggi di carattere politico anche in condizioni estreme, tutto ciò “restituisce dignità umana e politica a Moro”. Il direttore del “Centro”, Enrico Dello Sbarba, ha messo in rilievo la figura di Moro, inquadrandolo su tre dimensioni: come membro della Costituente, come Segretario DC e Presidente del Consiglio dei Ministri, come Presidente del Consiglio Nazionale della DC. Già alla Costituente emerse la sua grande capacità di dialogo e di mediazione che gli consentì di ridurre i contrasti con le sinistre. Dopo il Governo Fanfani ed il successivo Governo Tambroni, che creò delle estreme difficoltà in Italia (1960), emerse il ruolo di Moro, prima come segretario della DC poi come Presidente del Consiglio, che ha sempre ritenuto -ha precisato Dello Sbarba- “la DC come asse centrale del sistema democratico”. Fu l’artefice del Governo con il Partito socialista di Nenni e in seguito si aprì al dialogo con il partito comunista di Enrico Berlinguer per un accordo di governo “come tentativo di ammodernamento della politica del nostro paese”. Ha preso quindi la parola l’on. Marco Taradash dicendo che di Moro si parla più della morte che della vita, senz’altro fu “il numero uno dei politici italiani” anche se “io non ho mai condiviso le idee rispetto alle sue aperture verso il PCI”, penso al suo intervento ai gruppi parlamentari della DC che durò sette ore! Taradash ha poi sottolineato le idee espresse da deputato Dc Follini, che descriveva Moro come “lento nel parlare e nel fare politica, senza mosse avventate”. Ha poi rammentato l’intervento di Moro alla Costituente dove cambiò la dicitura “fondata sui lavoratori” in “fondata sul lavoro”. La sua opera fu animata da “spirito di servizio”, fu criticato da Pasolini per il suo linguaggio e fu consapevole della corruzione del suo ambiente politico come testimoniano le opere di Sciascia, ma fu suo anche “il non ci faremo processare sulle piazze”. In campo internazionale Taradash ha messo in risalto lo scontro duro che ebbe con Kissinger, ma il suo rapimento “non è da connettere con operazioni internazionali”. Le lettere ribadiscono il concetto di Moro che “la vita umana vale di più rispetto alla ragion di stato”, la trattativa si scontrò con le resistenze politiche del PCI che “non poteva manifestare debolezze verso le BR”. Con il sequestro Soffiantini ci sono delle diversità grandissime che non si possono paragonare alla vicenda Moro. L’unico aperto alla trattativa fu il Papa, ma il suo appello “senza condizioni” determinò l’abbandono di Moro. ( Qui Frontera è intervenuto dissentendo da questa impostazione). Taradash ha terminato evidenziando che le BR volevano il riconoscimento “come soggetto politico di una fase rivoluzionaria”. L’incontro è terminato con le parole dello psicologo Pier Giorgio Curti che ha esordito dicendo che per Moro non c’è stata nessuna “sindrome di Stoccolma” mentre in lui “colpisce l’umanità, il richiamo ai familiari, ai loro problemi”. Anche dalle lettere, manipolate, permangono delle dichiarazioni precise sui casi precedenti in cui si era trattato. Le lettere sono di una lucidità straordinaria, si nota la veridicità del tratto, emerge “il dramma di un uomo che non trova un amico”, un uomo abbandonato e solo, “un uomo solo, che è morto solo!”.