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26 Aprile 2024

Alluvione 1966, Livorno chiama Firenze, che non risponde


(Massimo Masiero) Livorno – novembre. Quella mattina del 4 novembre 1966 la città era sotto una pioggia battente, che insisteva dalla notte. In quelle prima ore di scarsa luce della Festività delle Forze Armate in Piazza Grande, al primo piano del numero 4, nella sede storica della redazione livornese de “La Nazione” si avvertiva una certa inquietudine, che più tardi si trasformò in preoccupazione. Appena arrivato, il caporedattore, Bruno Castagnoli, fior di giornalista, mi venne incontro dicendo: “Non riesco a parlare con Firenze. Dal giornale nessuno risponde”. Eppure sapevamo che in quelle ore la macchina della redazione stava mettendosi in moto. I colleghi della redazione province iniziavano a fare il giro degli uffici cronaca delle zone di diffusione toscane e umbre. Livorno era la prima ad essere contattata, ma quella mattina il silenzio era assoluto. Non c’erano cellulari e ci si doveva affidare solo ai telefoni, ai fax che si trasmettevano, da quei grandi cassettoni di metallo, via cavo e dalle telescriventi, che stavano andando in pensione. Ci si affidò alla radio, ai telefoni privati di amici, conoscenti e colleghi fiorentini. Si seppe che l’Arno era straripato alle prime ore dell’alba e aveva invaso Firenze, ma che dall’una di notte il collega fiorentino Giuseppe Peruzzi si accorse, trovandosi in periferia e sulla spalletta, che il fiume era sull’orlo della spalletta e si poteva toccare con mano le acque che scorrevano a sessanta l’ora. Partirono i primi allarmi. Poi l’alluvione investi il centro città provocando la distruzione di tesori e capolavori d’arte, allagamenti di appartamenti, negozi, chiese, musei, biblioteche con l’acqua che aveva raggiunto alcuni metri d’altezza. I residenti alla disperazione. In poche ore erano saltate le caldaie di gasolio, che mescolandosi con l’acqua del fiume aveva creato una poltiglia maleodorante. Di quella catastrofe improvvisa non si era in grado di fornire un quadro esatto. A Roma le istituzioni non capivano. Fu allora che Marcello Giannini, capo redattore della Rai di Firenze, che trasmetteva lo storico “Gazzettino Toscano” in onda alle 14,30, parlando con Roma in diretta compì quel gesto, che rimase nella storia del giornalismo. Posizionò il microfono penzoloni fuori dalla finestra fino a pochi metri dal fiume d’acqua puzzolente di gasolio, che scorreva a 40-50 chilometri l’ora facendo un fracasso infernale. E disse: ” La sentite questo rumore? Quello che state sentendo non è un fiume, ma è via Cerretani invasa dall’ acqua. Siamo nel cuore di Firenze”. Finalmente Roma, che sottovalutava il disastro, capì e si misero in moto i soccorsi, che arrivarono in seguito con tanti giovani, studenti e militari. Allora non c’era ancora la Protezione Civile, che cominciò a costituirsi nel 1970.
Intanto la preoccupazione a Livorno diventò vera angoscia quando sapemmo che il giornale nuovo di zecca, allora si trovava nel rione Santa Croce, era allagato e inagibile. L’alluvione, racconta un testimone, quasi coincise con l’inaugurazione del nuovo stabilimento del giornale fiorentino, fratello del “Carlino”, e stesso editore. Si fece appena in tempo a stampare il giornale con il titolo “L’Arno straripa a Firenze””. Poi diluvio e distruzione. In poche ore nella notte tra giovedì 3 e venerdì 4 novembre le acque dell’Arno in quella zona raggiunsero anche sei metri dal livello stradale.
A Livorno, ormai a telefoni caldissimi, le ore trascorrevano in trepidazione, le notizie s’intrecciavano con quelle delle altre redazioni ed erano catastrofiche. Il giornale era ko, Firenze sommersa con danni incalcolabili. Il sindaco d’allora Piero Bargellini aveva chiamato a raccolta a Palazzo Vecchio tutti gli esponenti dei partiti in una sorta di comitato di salute pubblica. “La Nazione” non sarebbe più uscita per alcune settimane dal nuovo stabilimento. Ci informarono che sarebbe stata stampata a Bologna dal confratello “Il Resto del Carlino”, e così fu. I tipografi si trasferirono da Firenze e i “pezzi” furono telefonati e trasmessi direttamente alla nuova sezione distaccata di Bologna, dove era stato allestito un “centro redazionale e tipografico fiorentino”. Così fu anche per le redazioni delle altre province. Un duro lavoro notturno che proseguì per un tempo che parve interminabile. Le copie del quotidiano, appena impacchettate, partivano dalla tipografia all’alba per essere spedite sui primi treni del mattino fin dove possibile, oppure caricate sui furgoni del giornale e distribuite direttamente alle edicole pelle località minori e più difficili da raggiungere, dopo percorsi tortuosi e estenuanti Il giornale diventò la voce ufficiale dell’alluvione riportandone le necessità, le storie, gli atti di solidarietà e di altruismo, le priorità e le urgenze, che fecero con gli “angeli del fango” il giro del mondo. Giorni altrettanto difficili furono li trascorsero gli abitanti del grossetano per lo straripamento dell’Ombrone. Il racconto di un testimone: “Informare e incoraggiare i fiorentini alluvionati fu parte di una solidarietà memorabile, che consentì alla città coperta di fango di lanciare le richieste di aiuto a tutto il mondo. Le vittime furono 35 ma gravissimo il bilancio dei danni alle opere artistiche e alle biblioteche. Trovare il giornale era una grande consolazione e un grande aiuto”. Fu così che quel testimone, allora un ragazzo di 16 anni, che viveva a Firenze e ebbe la casa alluvionata, scoprì proprio in quei giorni, che quello del giornalista è il mestiere più bello del mondo.