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14 Luglio 2025

Il Caffé Bardi

Il Caffé Bardi, una storia dimenticata di artisti e letterati


(Marvin Trinca) Livorno, 21 giugno 2025 – Nel cuore di Livorno, all’angolo tra via Cairoli e piazza Cavour, sorge oggi uno dei tanti punti vendita della multinazionale danese Flying Tiger Copenhagen. A uno sguardo disattento, il negozio non differisce da quelli presenti in ogni altra città europea: scaffali colorati, articoli di design accessibile, atmosfera funzionale. Ma a chi conosce la storia culturale della nostra città, quel luogo racconta tutt’altro. Qui, esattamente in questi locali, tra il 1908 e il 1927, pulsava la vena della Livorno intellettuale: il Caffè Bardi. Oggi quel posto è un luogo di commercio globale, ma nei primi del Novecento fu un epicentro di un grande fermento artistico e letterario. Non era un semplice caffè, si trattava di uno spazio in cui la modernità si mescolava alla tradizione, un vero salotto urbano in cui si discuteva di arte, filosofia e letteratura. Fondato da Ugo Bardi, figura carismatica e mecenate ante litteram, il Caffè fu frequentato da pittori, scrittori, attori, giornalisti e persino futuristi. Vi si incontravano nomi come Benvenuto Benvenuti, Umberto Fioravanti, Renato Natali, Oscar Ghiglia, Mario Puccini ma anche intellettuali del calibro di Giosuè Borsi e il maestro Giuseppe Petri.

La leggenda di Modì

Tra i molteplici aneddoti che circondano la figura di Amedeo Modigliani e il suo legame con la città natale, uno dei più noti — e al contempo controversi — è quello legato al gesto emblematico e disperato del giovane artista che, secondo la tradizione orale, gettò alcune sue sculture nel Fosso Reale di Livorno. L’episodio, divenuto ormai parte integrante dell’immaginario cittadino, si colloca intorno al 1909, quando Modigliani, reduce da un primo soggiorno parigino, rientrò temporaneamente a Livorno. In quegli anni, l’artista si era avvicinato con crescente interesse alla scultura,  e secondo la versione più diffusa della vicenda, Modigliani avrebbe presentato alcune delle sue prime opere scultoree agli amici e conoscenti che frequentavano il Caffè Bardi, tuttavia, la reazione sarebbe stata tutt’altro che lusinghiera: tra sarcasmo e incomprensione, gli interlocutori non seppero o non vollero riconoscere il valore della sperimentazione dell’artista. Ferito nell’orgoglio e amareggiato dall’indifferenza dei concittadini, Modigliani avrebbe allora deciso di disfarsi delle opere, gettandole nel vicino canale cittadino, il Fosso Reale, a pochi metri dal Caffè stesso.

Recuperare la memoria del Caffé Bardi

La fine del Caffè Bardi nel 1921 coincise con l’inizio della sua trasformazione: prima sede bancaria, poi locale commerciale. Nessuna delle successive destinazioni ha però saputo mantenere viva l’anima del luogo. L’identità storica è stata gradualmente erosa, fino a svanire sotto gli strati dell’indifferenza contemporanea. Nessuna targa visibile, nessun segno tangibile racconta oggi al passante che, in quegli stessi spazi, vissero momenti cruciali della vita culturale livornese. Questa assenza di memoria condivisa non è casuale. È sintomo di una più ampia tendenza alla cancellazione silenziosa del patrimonio immateriale, che spesso colpisce proprio quei luoghi “minori”, la cui importanza non si misura in monumentalità, ma in significato sociale e simbolico. Ed è forse questa la più grande sconfitta di una città che fatica a riconoscere – e quindi a preservare – le tracce della propria anima.

Il recupero della memoria del Caffè Bardi non riguarda solo un edificio: riguarda il modo in cui Livorno decide di raccontare se stessa. Vuol dire rivendicare una continuità tra passato e presente, riconoscere che anche un luogo trasformato può continuare a parlare, se gli si dà voce. Ogni città che dimentica il proprio passato viene condannta a vivere in una costante periferia della storia. Serve andare oltre una mera targa di ricordo, anche solo attraverso gesti minimi come iniziative culturali o la stesura di pamphlet per ricordare questo cuore pulsante della cultura livornese dei primi del ‘900 e questo significherebbe riconoscere il valore della cultura diffusa, della memoria nei luoghi quotidiani. 

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